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Enzo Campi: DONNE IN VERSI

Ultimo Aggiornamento: 12/03/2010 16:41
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09/03/2010 13:58
 
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Leda sul web con AltreMenti


PREMESSA E CHIOSA


Sulla donna come "evento" ho scritto un libro e la mia posizione in tal senso è nota.
Stamani la mia amica Lara parlava di "pallini pelosi e gialli".
Così ho pensato che per evitare siffatto flagello il modo migliore per augurare una buona festa della donna (al di là di tutte le retoriche del caso) fosse quello di evidenziare le "tracce" che alcune donne lasciano di sé.

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PAOLA ABENI

Nei volti la neve e
nessuno sguardo
come nelle mani
avvolgo parole
che porterò alla foce.
...
Chi prende la mia voce, un vortice, sono leggera e muoio per le sere senza ritorno,
quando passando la strada capovolge immagini e getta rami così neri nella mente
e fragili. Un grido scava questo sbadiglio d’anime.
Scende a vestire i viali il fuoco amaranto di ottobre, conosceranno immagini
anche gli ultimi fiori. Avranno respiro.
Mi lascerò chiamare. Ai vetri rimani come nervo di luce.
Un colore tenuto vicino, un trascrivermi.
La memoria feroce del silenzio. C’è questo tepore oggi,
questo docile accostarsi.


Sono vicine al tempo le cose della luce, cadono nell’anima.
M’imparano, mi vivono.
Evocano amore, trapassano.
Dentro questo nodo di cieli sono gli specchi.
Come fiumi di cenere le mie sere.
Questo venire nel fuoco del cuore.

Più vicina al tempo
che condensa questo
dubbio d’esistere
agli occhi incipriati
della terra
compio lenti presagi
nel nome di un volto
invoco il buio che
ripari gli scuri da
copiose verità.


Poche stille di luce
nel tuo fumoso
volere un nome
sconcerto che infiamma
un arido soliloquio
e le pietre riverse
compaiono come rose.


(da: “Nel solo poema del tempo” – inedito – 2009)


SILVIA MOLESINI



VI HANNO FATTI CHE MANCATE DI SGUARDO


Si vedono i migliori:
nottetempo sei riuscito a scappare
tu, giugno di breve poesia
allora loro ti colgono e
sento già i vari anticonform
chiedono ''chi sono i migliori?''
lo chiedono a me! vecchia porta socchiusa
come non lo sapessi che è una bella invenzione
come se non avessi visto il gatto mammone
fuori dalla porta del bar.
Circonfusi ad ideali bislacchi
signori del nuovo come nuovi santi
ah! e senza rispetto poi
attraversate le strade di tutti
solo avete vent’anni
e tutto il loro sudore
solo avete vent’anni
e non li vorrei riavere.
Ma ridatemeli invece
vecchionamente balbetto
che vent’anni sono buoni a rimanere coraggio
e ventanni sono buoni a percorrere testardamente
cose distrutte by way e rinnovare strade
gruppi corrosivi per la musica per l'âme
ah! ma se m'ero inventata il mondo prima
com'è che adesso me lo ritrovo addosso
smessa gabbia per polli, anticamera, solaio
com'è che adesso tutto sibila
e le vecchie paure sono fuori dalla
porta del bar?
Abbiamo fatto notte
dice Cenerentola scalzata
e dice bene lei, principessa meraviglia,
assiepata assiepante totale
ha visto montagne ridursi a mollicine
e ha visto navi che partono la notte
con carico pesante di ferrimmenso furore
spargersi molle ad inquinare ascelle
mondi-gente, lo capite scemi?
Lo capite, cazzo, che il mondo è la gente?
Che cambiate a sputare addosso
continuamente
senza provare un arrangiamento di rime
del vostro veleno bieco abbiamo fogne piene
s'assiema a tutti gli altri
ci incatena ci agglutina ci unge
uccelli impetroliati che siamo
e invece sguardi oltre
porterebbero mira/coli possibili
scrollatevi i vent’anni di dosso
basta ingurgitare fantamusica
vi hanno fatti che mancate di sguardo
accatastati in momenti qualunque
anticosmici
provate a resuscitare significati
provate ad intendere
che quelle coésie malvagie
le abbiamo scritte noi,
i peggiori. Prima.


A POCHI SECCHI SCHIOCCHI DALLA NOTTE


Per quanto beva
non mi ubriaco più:
sono davanti al mondo disillusa
sgocciolante eroi mai nominati.
L'avanguardia letteraria
non ha voci, adesso, non mi parla:
ho metaestasi da operaia quieta
e non conosco più l'odore della rabbia.
E quanto bevo
serve solo ad assopirmi:
sembrano finiti i giochi estremi
e la lucidità del parto buio.
Gravi da marcio chiarore ora
cammino-frullo seguendo passerotte
contrita e saggia, mi rimano le ore
a pochi secchi schiocchi dalla notte.


EMILY


Non mi bastano poche cose
steli di rose spine
ed il giorno che nasce-

Entrambe -se le tocco-
lasciano sulla pelle piccole ferite-
Poche cose!
Da mettere sul tavolo
per invocare il tramonto-

Quando poi sarà notte
nessun dolore darà più senso al mondo.




DORIS EMILIA BRAGAGNINI


HUNGRY SWEET MELODY


sweet, sweet, my hungry sweet melody, sweet ...

osserverò le piume alzate contro il vento che
il tuo gorgheggio solleverà nel vuoto intabarrato
e lì, a colpire dove il fianco è muto e
cola l’ombra -rovesciata-
sulla rotondità del giglio oscuro
reciderò gli stami
scivolando al fondo di quel ringhio d’altro canto
da serrare, tra le mie parole nude

erano i giorni delle unghie scheggiate
tra gli spazi tanto freddo e
il ruvidore precipitava l’ululo
a lisciarle sulla faccia ma, non era la paura
a stringere nei nastri l’andirivieni di quel fronte
che vedevo nei tuoi occhi
piuttosto un velo, patinato su quel bianco
sopraggiunto come schiuma di

- distacco –



CHIARA DE LUCA



IN UN VORTICE DI LUCE GELIDA SI ACCENDE


In un vortice di luce gelida si accende
il mondo di dicembre ancora desolatamente
in attesa annoiata del Natale per scordare,
m'invento la fiducia che coltivo per nessuno
ed è meraviglioso quanto siamo colmi di dolori
grandi di ricordi e di segreti che nemmeno più
sveliamo, forse che è difficile spiegare,
forse per stanchezza, o per pudore,
perché in fondo è facile sorridere e lasciare
che il mondo giochi pure con le tue controfigure,
mentre tu sei tutta questa storia splendida e crudele
che nessuno ha tempo di abbracciare.

(da "La corolla del ricordo" - Kolibris edizioni - Bologna - 2009)



RITA BONOMO


ELEGIA DEL RECIPROCO


E di tutte le cose
visibili e invisibili
ci si addomestica
negli spigoli

Potessimo invocare
i cartigli a svolgersi
sotto le palpebre schiumose
del primo mattino
che le richiude
facendoci ingoiare
dalle membrane della notte
a raccontarla

L’alba
non è alla mia portata
ha filamenti famelici
che divorano
investendo le retine
del suo bianco borioso
costringendo il cielo
a precipitarmi addosso

Siamo carta arrotolata
in amido di riso
e ignoriamo gli ideogrammi dei calligrafi
trascrittori di parole incomprensibili
su cui adagiamo le teste nel sonno

Ho barato!
Ho indotto un sogno
a curarsi del mio
ritorno a casa
e schiumando gli occhi
ho sturato il buio
ingannandolo


Abbiamo permutato
la libertà
di interagire col buio
coi codici
di camici crudeli
che prelevano sangue
alla pelle avvizzita
degli spasmi
delle nostre ultime affinità

E ci siamo affini
-Noi con voi-
-Voi con noi-
-Noi con voi-
nel guscio d’un isterismo
che ci mastica
ammaestrandoci
e ci risputa
privi delle nostre fragilità

Voglio un sonno
che m’addomestichi
e che bevendomi mi misceli
alle salive del suo credo inappellabile
scopandomi inerme


Scorderò di respirare
fingendomi morta
forse nessuno
si occuperà di me
alla luce

(da "dìri dìri dànna" - Liberodiscrivere - Genova - 2006)



LARA ARVASI


LA MANCANZA E' UNA LAPIDE DI CARTA


Eccomi, papavero
divenuto pianta grassa,
agave forgiata da schiaffi di luce
e silenzio,
le spade carnose inarcate
in-sofferenza di pietra

-seppur monotono e tetro
non c'è spazio che mi sia piatto-

Pianta cadente d'acqua che
non basta,
internati in bocca
i piccoli origami
e occhi come unghie da tagliare.

(Da "Collezioni di piccoli rancori" - Samiszdat - Parma - 2009)


DI PELLE SOTTILE E DI FOGLIE


D’inverno, la notte
ha in bocca una lingua di buio
che divora i colori e le cose
e un respiro umido e freddo
che riduce ogni sorriso accogliente
a un taglio esatto di bisturi.

Tre volte sei scritto sul muro
vicino a una porta che s’apre sul vicolo
lei, fatta d’angoli e di pelle
che sembra benda a fasciare l’anima
prende per mano l’orrore scalzo
e gli cammina al fianco.

Il vento e poi la ciocca di capelli
s’appende all’angolo sinistro della bocca
muta e furiosa.

A Giselle la bocca non basta
e nemmeno basta questa notte
che è una statua di ghiaccio da fissare.
Troppo piccola e innamorata del suo disegno a china
leggera e pallida
balla ubriaca fra le braccia del silenzio.
La lucciola di Marlboro ondeggia fra le sue dita,
e vomita cenere

Giselle guarda il nero del cielo,
e rimbocca la nuvola che copre la luna.


(da: “Tre Donne D’Istanti” – Liberodiscrivere – Genova – 2006)



SILVIA ROSA


COME UN SEGNO NERO A MARGINE


Ha una forma irregolare
il dire
quando gli spigoli improvvisi
del Tempo
scontornano parole
e tace lo schioccare vorticoso
della lingua sul palato
come un frullare d'ali
a misurare -stanco-
il perimetro del Vuoto.

Ha un movimento in girotondo
ogni lemma, prima dello schianto,
prima di precipitare
in coincidenza del Silenzio
incrinandosi nel centro
e più dentro, nel profondo,
fino all'origine di Senso.

Il mio Corpo cede peso all'Anima
e cambia di significato e di sostanza
nello spazio del discorso
si appunta come un segno nero
a margine,
nel bianco di una pausa

muto, fugge la distanza
-annullandosi-
si fa Eterno, senza Verbo, sconfinato.



NATÀLIA CASTALDI


DISORDINE


Non recupero le forze nelle fosse dei tuoi silenzi
ma nei tuoi respiri sérpico
tra le sillabe che abbandoni in disordine per la stanza.
Annusando odori di noi e di ieri
raccatto polveri e pensieri:
ed é come rammendare un calzino bucato dal tempo e dall'usura
da un'unghia troppo lunga
che s'incunea nei lembi della carne.
É un rattoppo per suturare sdruciture
questo disordine che mi sfugge
per consumarsi inchiostro su un taccuino.


LA NOIA DI SCRIVERE


Abbiamo avuto il nostro penoso tramonto,
la ruggine delle foglie,
la noia delle primavere quando invadono l’inverno,
i silenzi della notte
e tutto qui per noi
a sobillarci la stoltezza di scrivere prolissità
nella pronunzia sorda del vento
impigliato ai denti aguzzi delle stelle
quando, lento, rimastica le ottuse ipocondrie del giorno

Vedrai, anche questa funesta pagina di male
si scioglierà nei giardini segreti degli istinti
ove soggiacendo oltre ogni logico volere
guariremo nel libarci alla fonte dell’inganno
Oh mia scure!
Famelica lama abbatti il mio tronco
fino al battesimale incontro
delle vene al cuore
e che non ammetta il minimo dubbio
riguardo la rotondità della terra
ed al vagare risucchiati dal suo ventre di legenda
come mesta novella sul divagare delle cose,
come fosse tutto puerile invenzione dell’arte,
come se un platonico sussulto
potesse rendere giustizia alla monotonia del verso

Non senso:
penuria di parole alla penna digiuna d’argomenti

Senti la ruggine mangiare i corpi, le lamiere, le giunture?
È anch’essa noia nelle cose inanimate
e fuori tutto è fermo nel suo ferruginoso aspetto,
- almeno piovesse.


ANTONELLA TARAVELLA


TORNAMI

Tornami dopo
al calare della quiete
nei frangiflutti stonati
di tramonti
a cui rendere parole
al gusto di nebbie
a cui chiedere scusa
del non essere sgomento d’occhi
a cui pregare d’essere voce
affilata sulla pelle
e liscia sulla lingua

Tornami sazio
avvinto dal tempo
e dal suo tiepido cuscino
con mani sporche di terra
e giardini ricamati sulle pupille
con graffi sui pollici
per le mie folate
e le mie parole
esplose sulle scapole piegate
e per i miei silenzi
attesi come la resurrezione
di una stella

(da: “Vertigini scomposte” – Ed. Smasher – Messina – 2009)


NADIA LISANTI



MOSAICO D’AUTORE


Insostenibile leggerezza dell’essere,
Nessun luogo è lontano
se
La voce del maestro
fa di te
Un uomo.

Siddartha ti ha svelato
ciò che
Seta
tutto avvolge:
L’uomo senza qualità
è
Il compagno segreto
in cui ei nasce
e poi si evolve.

Fare un film
sul
Le metamorfosi
sarebbe un po’
come provare
che l’Inferno
è il Caos calmo
che L’Alchimista
non sa scovare.

Resta il fascino e il mistero
o
l’Enigma del solitario
che novello
Don Chisciotte
or va incontro al suo calvario.

La verità,
fanciullo caro :
è lo scrittore
a tesser la trama
come
Se una notte d’inverno
un viaggiatore
vivesse
Le mille e una notte
che tutte brama.


(da: “un attimo di più” – Libroitaliano World – Ragusa – 2008)


LILIANA ZINETTI


A F.M.


Per rotte inquiete risalgo
l’orma a ritroso delle parole,
e quel volgersi dei volti
nell’ombra che schiude il respiro
dell’alba, fiato di labbra sigillate
sulle città coricate nel morso
di costellazioni di buio, grido
d’ali, l’inizio
indecifrabile della luce
che traccia alfabeti di nuvole.
Risalgo la sconfitta
di giorni appesi a ragnatele d’aria
dove si radunano gli inverni
ammutoliti al fuoco azzurro
di tutti i colori
impronte sui vetri del mattino
il furore immobile
del silenzio e della pietra.

L’alfabeto dei fiori
fino al sangue della terra,
il cerchio e il seme,
la resa disarmata
della voce e delle parole.
Le orme nella neve
tutte le direzioni
e l’indice di un ramo impazzito
alla brina delle siepi.
Era l’essenza forse di un cielo
divenuto d’improvviso angusto
per la sparizione delle stelle.
Tu ti guardavi le mani
gli occhi poi a terra, come
a raschiare stelle dalle crepe scure
di un pavimento stordito
come se
non ci fosse altro
che quel guardare, muto
e senza fine
che hanno le cose quando le guardi.
Attendevi un cenno, una parola
mai venuta –
mentre s’alzava nero lo strepito dei rami
a graffiarti gli occhi,
a indicarti il buio.


(da: “Nel solo ordine riconosciuto” – L’Arcolaio – Forlì – 2009)



MARIA PIA MONICELLI



DONNE


Cuore
come un puntaspilli
le labbra per amare
per tacere
Siamo giunchi
cresciuti nella neve e nel fuoco
capaci di volare
senza un battito d'ali
e siamo forti
anche se ci consumiamo
e siamo fragili
anche se d'acciaio
Siamo gemme
di luce riflettente
lune in orbita
negli universi
pulsanti
Siamo la terra
morbida
da accarezzare
non calpestiamo
i sogni
e conserviamo
in seno mille mine
e siamo la miccia
per un solo istante
d'amore


FERITA D’ACQUA SORGIVA


Sono la curva calda
che nasconde la luna
il succo della vita
che a caro prezzo
anch'io ti regalai
Chiamami con tutti i nomi
senza inventarlo mai
il mio
è ancora quello
di una fragile e forte
Imperatrice senza patria
schiava libera o libera schiava
un petalo che può tagliare anche un diamante
ferita d'acqua sorgiva
e sangue
nutrice e musa
dell'anima
e dell'anima ancora


SILVIA CALZOLARI


ESSERE


Resterò sempre qui
come se non ci fosse uomo
e le mie donne
sono altezze
di percorsi interiori
che portano
idea nuova
sospiropassione di pace
pensiero evoluto.
Uomo voglio
il tuo essere donna
solo allora comprenderai.


IRENE ESTER LEO



GLI OCCHI DELLA VERITA’


Amo certe essenze e certe bellezze sotterrane, che solcano le guance, gli occhi... quelle delle donne ''vere'' che nascondono nelle pieghe del proprio sentire i misteri del mondo e del tempo. Quelle donne sono eterne, vivono nei gesti che compiamo, nelle parole dette, in quelle pensate, nella memoria degli oggetti, nelle buone educazioni e nel vento che sferza, nell'odore buono degli armadi aperti al mattino. Ci insegnano la forza della libertà e della coerenza, sono forti e fragili, capaci di grandi ribellioni, di indipendenza come di sacrificio...
Sono loro le donne che cambiano lentamente il mondo ogni giorno, e forse alcune di loro non guardano il calendario per ricordarselo, sanno che la vita e l'esser donna va al di là di una macchia gialla e di una data. La loro dignità è forte e limpida, e nel buio delle difficoltà quotidiane sorridono, e portano appesa al collo una qualche speranza luminosa quanto il sole.
Queste sono le donne che amo, ogni ora.

Siamo tutte noi, e non c'è nulla di più bello...


USTIONE RICHTER


Nove anni appena nove anni.
Tutte le maledizioni hanno un incipit fanciullesco.
E' la regola astratta non sancita dagli umani, ma dai visionari di sale. Essi non conoscono lo zucchero delle certezze.
Nove anni appena nove anni.
L'aria assunse il sapore freddo di ghiaccio sciolto sulla riva degli occhi.
Occhi rigati dal vento e dalla polvere delle cose mai pensate. Ignorai molte cose allora, l'età, l'età, che sbavatura di rosa l'età.
Ignorai il significato.
Ma Ella venne a prendermi dallo spigolo di una pagina acuminata e calda di Rimbaud.
Si nascose nelle attese.
Gli occhi, nocciole liquide e attente. La bocca, cercava di capire ma non sapeva.
Disegnava tra le assenze bianche di lettera e consonante, forme irrisorie, biancume di nuvola poi gatto e poi mi chiamò.
Era un uomo incastrato tra due versi a pagina 65.
Un uomo mai visto, sentito, amato, voluto.
Venne a me tra le pagine ...

"... restait debout, dans l'épouvante
bleuâtre des gazons après le soleil mort"... (...)

Ne recitai il profilo, come un rosario ed i suoi grani neri.
La pelle delle dita arse al contatto de "le soleil mort", si fece rossa poi concava,
si tirò tutta e quasi scolorì all'ombra del mio viso.
L'odore di carne bruciata fu cantico,
campana fonda
e sospiro di tortore tra le grate dei denti.

Esalò poi la mia voce, caddi in terra, viva.
Una donna mi accolse nella gonna rosata, mi sciolse i capelli e mi svelò il mondo, ardendo.
Aveva nel volto un'ombra umana e nella luce delle parole la santità di altri ebbri dei.
Raccolse le mie dita, baciandole appena.
Sottratta la mano al suo tocco, strinsi le spalle dal dolore.
Ed il tempo, il tempo accese candele e ragioni.
Mi lasciò a fondo, tra stomaco e plesso del cuore, un marchio bollente tondeggiante di luna.
Ustione di terzo grado Richter, dissero i medici terreni.
Non sapevano dell'incendiaria alcolica verità sottopelle, delle ferite dell'interno ben più d'abisso.

E parole fiammiferi vennero a trovarmi.
Ogni giorno.
Pronunciarono il mio nome.


CRISTINA BOVE


A DIVINIS



Dovrebbe raccontare di lembi trattenuti
a un cornicione
o chapiteau di circo senza rete
se solo avesse appreso
d'essere in mille e più, a cadere.

Avvitandosi appare e poi scompare
il dicitore amabile
esibisce
numeri d'altra luce
a volte una catena di miracoli
in revisione illogica

ancora sto planando in quella notte
di trapassi infiniti
un qualunque battesimo di morte
dissimulato ad arte.


DIVERSAMENTE STABILE


C’è l’idiosincrasia
- quanto le piace questo lemma -
per la parola cuore
le dovesse scappare non sia mai
spalmata su parole altisonanti
prosodia
rea sconfessa
un ragazzo che viene dal passato
occhi di broncio
- di sensi all’erta le concede l’uomo
in minutaglie sparse
e il suo andare di fretta -
lui di bevute solitarie
nel palmo della mano in senso lato
lei che si gioca l’ultimo bicchiere
col piede nella staffa.


FERNANDA FERRARESSO



TRA LE COSCE CALDE DELLA CREATURA CAVA


metto le virgole i doppi punti
e il doppio petto che ti aggiusti mentre reciti
una versione di te stesso
lascio il cadavere delle parole imbalsamate
le spillate strettoie della mente
la vertigine inutile della discussione
il periplo l’assioma e l’algoritmo di una giornata
persa tra queste lettere senza sesso e senza senso
senza altro sogno che un segno
es-posto in vetrina
sotto formal-dei-de la crisi economica che si esaurisce cantando
dibattendo la crisi super a n a t o m i c a della disintegrazione del sentire
mentire l’ultimo cerchio della gogna
agognata carogna di chi ha fame di vergogna e prende
l’ostia dentro il retto principio di osservarle le regole
sacre del mercato edito reale nella carta tormentata
da una insana ragione di educare.
A cosa? A chi? Se tutto è forma che si fa orma e meno ancora
sparisce nel getto di un inchiostro senza mano e senza battuta
nemmeno un dente dentro lo scrittoio io
solo un diaframma tra qui e là dove mai ci si trova.
Paventate parole scena della lercia vacuità che si
sparpaglia si sventricola e si squaglia
nella cella di un corpuscolo di rosso
fattosi avaro scarno e saccente
Il più grosso inconveniente?
Può in un lemma separarti o spararti una raffica assassina o
rendersi tossina d’altri inconsapevoli gestori
di un male articolato che travalica la carta e
si fa canto in frusciante lussureggiante cartamoneta tonante
in lingotti di soqquadri che disarticolano la storia
in vetrine di macelli e falsi testimoni
poichè la storia è solo una grande fossa
un ammasso di menzogna
per una guerra che non cessa
e sì da sempre
ci intossica le ossa.


E DI BOLINA RISALGO


fino a te la riva di ponente
in un flusso d’ aria
anime generate attorno ad una vela
un corpo immerso in un fluido
mobile della ca(u)sa
u n a v a r i a t a velocità locale
di ogni punto vela
tu-
re
fluido incomprimibile
che correndo varia le sue azioni
l i n g u e f a c e n d o sè quell’es-
pressione agente sulla vela. A pezzi
l’immaginario è vento
che la vela frammenta sopra
il vento e sotto cercando
la forza la totale in-
portanza. Aereo sulle ali
sui ponti delle tante terre il conduttore è
vento porta generata da una sola depressione
sotto la linea di azione perpendicolare raccorda
media la vela
profila l’es-
posizione al flusso
quell’aria nei due
segmenti della curvatura
il lento scorrere del profondo
e la superficiale tensione ampia
sull’empietà del tempo
le due facce della tela spinta in quel
avanzare e nel mancato ritrovamento del re-
siduo sottile alito che porta alla deriva
e di bolina secondo alt(r)a retta
porta la barca al limite del viaggio
sotto il pelo dell’acqua
in uguale intensità
del flusso vento apparente or-
mai sulla vela
di prua accogliendo ancora un vento
che scema il prossimo
ormai unico stretto
ponente.


STEFANIA CROZZOLETTI



OBLIVION


Un rimedio per cancellare
la memoria del dolore
un giorno sarà – forse è già pronta
la pillola per rimuovere i ricordi
annullare i segni del male
cauterizzare l’anima infetta
corrotta da secchiate di guerra
temporali di paura
[Signori il dibattito è aperto]
Ma per questa quotidiana desolazione senza trauma
simile al mare che consuma lento la costa
col suo frangere continuo
per questo senso di nausea da centro commerciale
non vorrei scomodare la medicina
né stappare ostinata bottiglie di vino
E allora immagine sbiadita al finestrino del treno
o notturna che ti agiti tra pavimento e soffitto
vorresti smettere quell’aria beffarda
e provare con un colpo di reni definitivo
a buttare fuori questo bolo imprigionato
tra gola e stomaco?
Provaci a calcare le mani a svuotarmi
per poi riempirmi di aria fine
provaci ti prego
con convinzione


TIZIANA CERA ROSCO


DA UNA PARETE ROVENTE


In seguito ad un profondo sonno
In seguito ad un ribaltamento
Come al termine di un isolamento delle immunità
Chiedimi se durante l’ultima malattia
Avevo toccato una parete rovente
L’accesso ad una continua produzione di mondi
Non è come la luce nell’acqua l’infanzia
Un’elettricità risucchia velocemente il nettare dai fiori
E i giorni dei cedimenti reimpastano la loro avarìa
Tentano di riempire la frase che non si è più rivelata
Neanche la sera del nostro reale disinganno
Chiedimi se quella poesia a cui stavo accedendo
Si trova ora in lutto in tutto l’universo
E conduce la nostra decifrabilità attraverso un disordine mentale
Un’attività di trasmissione a diverse frequenze
Che distorce l’onda del "chiedimi :-Tiziana dove oscilli-"
Quali parole userò più con i miei figli
Se il mio allontanamento devo lasciarlo andare
Nello strato sottilissimo di una conversazione apparente
Mentre pneumaticamente gli occhi vibrano un bianco folgorante
Un mutismo sprigionato dalle ossa delle sante
Usa le parole che avevo forgiato per te, i fatti decisivi
alleati col mio destino come un Medioevo
Fammi vedere la forma umana del mio testo
Parlala con me in questo isolamento dalle immunità
I cristallini, i vitrei, i fuochi
Ficcami nelle mani gli occhi con cui ti ho illuminato
Perché se pianto un chiodo oggi, se lo pianto
Se decido di battere metallo su metallo
Gli stipiti delle ciglia grondano tutta una diagnosi del mondo.

Ho toccato una parete rovente.

Non è come la luce nell’acqua l’infanzia – credimi –

Una trasmissione a diverse frequenze ci conduce
Attraverso un disordine mentale
In tutto l’universo c’è una poesia da cui sono decifrabile –lo so –
L’ ho toccata, era rovente
Una Malattia Massima a cui dovevo arrivare da bambina
In seguito ad un profondo sonno, un Disordine
Eccola
Prenditi cura dei miei figli, tocca loro gli occhi
Chiedimi solo se devo lasciarla andare
Se è questo il fatto decisivo
Se lo spettro che sono oggi tra i vivi e i morti
E’ la magra forma umana del mio testo.

Chiedimelo.
Fammi dire No.


MARIA GRAZIA CALANDRONE


FELICE CHI HA PERDUTO LA SUA VITA


Quattro alberi rossi sulla salita e il prato evolve
verso l’assenza di legami
irradia una semplice grandezza.
Io non posso morire una seconda volta dunque
non temo nulla. L’aria sta facilmente nella luce. La luce
prodotta dalle nostre intelligenze
semplifica la terra
dunque quell’alta pozza pomeridiana
era sbucciata fino al sasso da una comprensione umana
e le risa suonavano dalla torre
alta e con le scale
consumate dalla macchina lirica delle ginocchia. Un sogno
ci spingeva a salire senza dolore
il monte calmo con tutte le radici nella terra e le rovine
folte e piene di luce. Anche l’erba del suolo si arrampicava
sul ponte che aveva preso fuoco e si andava levando
come l’arco del primo
glicine che vedemmo nascondere
i così detti amanti: nessuno
li poteva distinguere dall’erba
perché fulgidi
e appartati erano saliti sulla croce degli anni
l’uno
dell’altra, stavano sotto il ramo con i lunghi grappoli
viola e sorridevano come se sorridesse tutto il cielo. Pensammo
anche se siamo vivi siamo
Loro e questo
è il Luogo Perfetto
– ma si poteva dimenticare ancora, si poteva
arrivare
dove il corpo doveva disparire
sul lungolago: anima e corpo leggerissime e bianche
reliquie
a bordo d'acqua
tra le inimitabili lattine e i violinastri
e robinie dai fiori primitivi – soltanto
non dire no, non offendermi – il mio amore verrà divulgato
dallo scandalo
del sangue che si mescola al sangue perché il sangue perdutamente dice dammi signore
una generazione felice. Ma sul lago ancora
fluttuazioni, nonnulla
come già fummo
senza corpo – ricordi
come se tutto fosse già accaduto
e tu – e nulla
doveva ancora essere perduto.
Io ero solo una parte del lago che si era spinta tra le tue braccia
per sciacquare i residui della terra
e lasciare che fossimo metallomadre
che si mischia. Fluttua al vento la lista degli sposi. Sei composta da un sole
pulito e privo di calore
e dal canto dei pozzi
e il volume si dissipa in una profondità naturale. Io
dimenticavo la morte, dunque dimenticavo
di essere invece vivo e dimenticavo
di dovere ancora ricevere
per mano tua la solitudine dei morti, il marchio intorno agli occhi
del non-vivo
e che allora avrei ripreso
su me la pelle arsa bucherellata erosa
e rovesciata
del mio cuore passato sulla ghiaia dell’abbandono come il muso di un cane
investito da secoli
e che era il tuo cane. La mia testa
piegata
possedeva nei tuoi confronti l'inerzia dei fiori
nudi e senza vento, reali
contrazioni di senso che dicevano lei
mi porterà in sé
per sempre tra il rigoglio dei papaveri
sulle terrazze e con gli umori verdi delle felci
come impronte di piedi celestiali. Ma
aspettavo la pena
perché sapevo di disubbidire
gravemente
incatenando a una pozza di luce che si accende da sola
il mio cuore-cane: nessuno
da vivo
vede così la casa del suo amore
senza muri e con petali gialli e i lampadari
in festa e con la forma
del torace senza gabbia: ecco l’ostia
del cuore – sia fatto di me
secondo il mio destino mentre era terribile e senz’acqua la reliquia del santo che chiamava
te nella notte di porte spalancate dal fuoco. Cerchi, quadrati, ottagoni
di fuoco – e la tua testa
viva portava
gli occhi di lui ormai privi di dolore e la ferita
luminosa di tutta la luce
del regno che comunica col regno. Ecco, tu eri
la persona che mira a volare
per raggiungermi, quella che passa per tutto il silenzio
della sua morte per sfiorarmi la mano con tutta la voce
della sua vita
e sciama
col suo vestito a fiori visionari fuori e dentro
la mia orbita che perde
capsule di sonno
due viole oscure di palude
e sciami. Io ero interamente commestibile, ero la rosa
realizzata, la rondine
acutissima che spezza il cielo ruotando
come la biscia sulla ruggine del greto lascia la scia
del suo mondo abissale, ero il libro e la stella
d’argento al fiore delle tue clavicole. Adesso posso ricordare
la grandezza radiosa che dislocava il cuore
in un giardino materiale di ginestre e riflessi
assoluti di mare fuori dal petto
quando mostravi il viso di chi può ancora
lasciarsi amare
e il tuo viso era il viso
dei bambini, il sorriso di prima dell’abbandono
quello di quando la creatura non deve
cercare amore in nessun luogo perché l’amore è in ogni ala che si stacca, in ogni polline
reso invisibile dal vento, in ogni melo che ritorna terra
sulle terrazze festose
e perché io ero te, l’Amore Uno, quello
del nostro omologo vivente. Ecco
il mio cuore: un cane
consegnato, il corvo-tutto, l’arancia
del mezzogiorno che gronda
penne colombine
di iris
causando la rottura
del ghiaccio in placche – ecco il cuore
più mio. Più mio.

Tutti i fiori stanno puntando al cielo
l’organo vivo e l’ape
non può staccarsi,
il nome ruota internamente
come un astro, picchia dall’interno
la volta
dell’io-universo
che non è la spelonca
del cranio, è il firmamento che attraversi
con le rotule
toccate nel vivo, senza
la pelle, bianca
conchiglia che canta l’invisibile e il lontano
cuore-valva che parla
con una voce estinta da millenni.
Per me è andata così, per il mio cuore.
I campi più tardi
si alleneranno alla morte agostana
e tutto questo apparente incorruttibile
verde sarà fieno, alimento, latte
di nuovo carne che si disfa
e carcassa
lisca
saturnale.
Io più di questo non potevo fare per mettere argine a questa fine.


PAOLA CASULLI


MAREE


Ora il tuo dire sarà
corsa di maree che si alzano.

Stendi l'Isola al riposo
Uomo,
rinascita, uomo magnete, d'ossa e costellazioni,
levando le braccia
come alberature in sete di vento, corri
ché la marea camuffa di squame chi perde lo stupore.

Dentro di te non c'è spazio per la terra dei mandorli.
Sei uomo di mare, tu.
Accecato di baie dove s'appoggia l'autunno.


(da "Sartie, Lune ed altri Bastimenti" - )


ARKAB


Boschivo cuore
in pozze di verde vanga
ti raccolgo con mani di felce.

Il gracidare delle rane, in clan sulla collina,
è un carteggio di passioni risvegliate.

La posso quasi vedere la moneta di giada
dello stagno sottostante. Da qui riemergo:
lineamenti perfetti, sposto il piede sulla terra
riconsegnata al respiro.


(da "Cieli discordi" - prossima pubblicazione)



FEDERICA NIGHTINGALE



SPINGONO NEGLI ORTI I FRACASSI DI MARZO


Spingono negli orti i fracassi di marzo
quei furiosi venti spirando attorno
Delle sortite fuggiasche accolgono i merli
rinsaviti dopo le nevi
S’estraggono in lontananza le frivole sete
del cielo
Dieci le nubi instabili accucciate sui tetti
smollicciano il loro pianto grigio
tanto diffuso senza i colori rosa dei ciliegi
Dormono infatti i sollecitati semi e le gemme
imbiondite o verdi come piselli rotti
Le talpe si apprestano ai vermi
E i controcanti silenziosi dei versi acidi
s’incrociano nell’aria
chè gli uccelli vibrano
come filetti d’erba scoperta
Un tonfo muto si apre all’orizzonte
e piegano i rami
Se pioggia cade sui veri tentennamenti
mortali allora viene la primavera a sedarli
in quei suoi tripudi d’esili fili volanti
a ondeggiare come canne giovani nel cielo indaco
Scoperchiato un tetto nasce un nido al di sotto
E pigolare si sente nonostante il freddo
Erano docili le mattine infrante dal sole
che in ogni angolo infilava le nubi
Saranno le prime ore del giorno a insabbiare
i geli bianchi
E li copriranno appena con fitte baldanze
Cedute ai passeri per poche bacche.



LEDA MONCALIERI


FEBBRAIO


*

Febbraio non ha più
la faccia dei primi amori, con le mani dietro la schiena e un gesso
d’intonaco grigiastro per graffiare, tono su tono
il muro. Resta bozza tra nascite e una morte che ricomincia
una pausa di vinile, mentre mi parli – quanto sei bella
Leda- vestita di viola e l’orlo sulle cosce, i lacci
in vita

È duttile febbraio, porto
di compleanni, autunno fuori posto propagato
alle finestre. Per gli innamoramenti
non ha foglie, ma anime su punteruoli, mentre te ne stai piatto nella circostanza
Con la mano ai vecchi documenti, sfondi
di chierici e calesse e gruppi di parole. “Il vetro rotto, la zampogna.
Il ballatoio deve
avere il sole”

Febbraio stira tutte le camicie fino a un certo punto
perché non c’è domani che ti aspetti
seriamente, se non il tempo dei bambini



*

Finirà febbraio, noncurante
di un tempo tutto perso, d’una luna sghemba
dove a una tomba degna d’orizzonte, fu l’apertura sul costone
a rendere respiro agli anni occlusi, e fiori, e sete
e voci
diventare adulte
ed altre stanche, amate voci
silenzi amati su
per gli angoli operai

I fermi alle clavicole aspetteranno ancora
gli abiti succinti, la spalla che cade e quell’odore di pane
quando ce ne staremo fuori a raccontarci

dallo svettare d’aceri fino
a litigarsi l’alba

Non diserto notti a licenziare
acque su acque, croci sull’orgoglio
approdi sconvenienti d’anni ammanettati a tacche sugli arbusti
e luci inclini del sapermi

verande e rosmarino

Tu, che m'imprimi dormiveglia ai tarli
d’immagine scomposta e misticanze

che pendono dai treni


MARIAPIA QUINTAVALLA



MATERNALE


I

Esiste la deliziosa
prossimità, non il perfetto amore.

E intanto
lunghi tragitti tratti
erosi da pianto, polvere
di sentieri assembrati angoli della mente che
stavano per sfollare e – sostano,
campi desertici

trasferimento, letto come strada
silenzio non ancora pace.


II

spesso ti dissolvevi andavi
via, ed io imperfetta ne ordino l’ordito muto
diniego di muta esistenza la sua incandescenza
è motivo della mia gloria sempre

io loderò la forma che mi ha preceduta
di quella che viene ancora
non conosco lega leggera
di pensiero piumaggio breve.


Liebe, 1

conca e albero, volontà e
firmamento nelle sue volute navigano
le mie navicelle

non so se accese
nella discesa libera infinita,
sottomarini a noi stessi.


Liebe, 2

naufragio il primo giorno – non avvicinarti
e tutto il tempo intorno, pesci

tu prega moderna
la morte di un uomo, lo stento del tuo uomo

è l’ora splendida peccata mundi.



LOREDANA SEMANTICA


L’UNISONO


Noi soli saremo
essendo noi stessi
complemento
l’un l’altro esistendo
l’unisono
come se fosse cosa preziosa
preziosa cosa nascosta al mondo
come se sfiorarla
potessimo
con le punte delle dita penetrando
più a fondo
più in dentro all’interno
pulsando (il cuore
vivo tra le mani)
nel movimento.


DI SALE E ALTRE ROSE


Ma perché dovrei sfogliarti
corpo? A petali di rose
bianche rosse morte.
Improvvisamente
abbandonai ogni colpo
sparo albero pistola
rinunciai al vagito
rutto primo d’ombelico
statua di pietra modellata
tacqui in modo indicativo
e nel presente senza scopo
opponendo lame
migrai allo zolfo infame
calcio impatto imperativo
biancheggiante fosforo
e catrame.
Ammutolii di rame.


BIANCO


Rimase tra le bozze impubblicato
il pensiero della notte
vaghe righe enormemente aperte
spazi briglie tagli sovrapposti
dove irraggiungibile
bianco il sonno si contorce
al buio di tormenti indefiniti
spine dubbi atroci cicatrici
bocche urlanti nelle orecchie
la fame spalancata di silenzio.



LUCIANNA ARGENTINO



Chi può dirmi chi sono
se lui non mi è più specchio?
Se di coraggio perso è il suo guardarmi
e di ritorni severi e di ritardi,
se nel suo sguardo disfatti vedo il tempo e me
me ridisegnata senza braccia.


*

Mi coglie di sorpresa il lento ritrarsi delle cose
alla strenua avanzata del corpo
per cui preparo un’intimità più attenta
che riconcili i gesti con l’assenza
e tengo per mano la fede mentre negozia la pace
con la realtà dei fatti.

*

Se la luce rimpiange l’ombra
eccitata da tanto vedere
è perché l’ombra smaltiva l’eccesso
ingentiliva il cinismo
traghettava in quel mare
la sua nebbia di casta consolazione.


(da: “Diario inverso” – Manni – Lecce – 2006)


ELENA CARDEA


SEGUENDO UN SUONO


Per te
non so chi tu sia
nè son certa
sia saggio saperlo
è questa poesia
Vorrei varcare
le acque scure dello Stige
e portare la mia lanterna
attraverso luoghi
perduti mondi sepolti
vedere chi non è
o forse è
solo voce
Vedere un'anima danzare
poi dissolvermi
e ricompormi senza posa
essere acqua e nebbia
fuoco e calore
sfrontatamente ritrosa
Poter vagare e sognare ancora
e dal buio farmi avvolgere
come un mantello

seguendo un suono.



LUCIA PINTO


ISPIRAZIONE


Questa ispirazione che irradia
non presume il malinteso
Nella sua intima
incomprensibile affermazione
di nulla si cura
che per la ragione sarebbe spaventevole
Stringe l'allusione,contenendo la sorpresa
Insabbia gl'interrogativi
rovistando timidamente una origine
frugando uno spunto
E' spietata
nella sua leggerezza
Trascinante
nella sua incompiutezza
Come una imprecisione
senza incertezza


PRIMA


Prima
che l'immagine
riflessa ti divori
suggo
la tua polpa

Per me non è
un mistero la voce
roca del tuo ventre
Non temo

gli artigli sfuggiti
alla notte aggrappati
all'armatura
della parola

Era un pianto
il tuo verso
era un verso
il tuo pianto
Stridulo

accentato
governato
troppo parlato
assetato
di verde di fiori

dischiusi
di frutta
di spicchi disfatti
di labbra rapide
e umide e avide

Era un pianto
Era era

Prima
che divenissi
tumulto
da bere

Prima
che bruciassi
del tuo silenzio

Prima
che il tuo sangue
trovasse ristoro
sul mio guanciale


GIOVANNA PANIGADI



Siamo ancora noi.
Noifemmine.
Creature di frontiera.
La frontiera che noi stesse siamo nel simbolo come nel corpo
tra il mondoprimadentro ed il mondodopofuori.
Creature di terre di mezzo.
Migranti smarrite a cercare di ricordar se stesse.
Migranti con lo sguardo deciso che trafigge il futuro.
Attraversiamo la storia ci camminiamo dentro
e la storia può attraversarci e può camminarci dentro.
Dal nostro amplesso con il tempo che scorre
prende vita il non tempo.
Il non tempo del coraggio, della passione,
della forza, della pazienza.
Dal nostro amplesso con il tempo che scorre
prende vita il cambiamento.
Siamo tutte differenti.
Noifemmine.
Ma possiamo dire: noi.
Noi che ancora, sì, ancora
i compagni libertari e i maschi “femministi”
illuminati e di sinistra
vogliono o troie o compagne fedeli e madri attente.
Perché anche loro come tutti
non hanno ancora capito
che con la nostra libertà dentro
siamo liberamente le une e le altre, anche insieme,
anche nello stesso attimo.
Come il giorno e la notte si abbracciano
nelle sfumature della luce
senza confini che si possano definire
i nostri odori e gesti più antichi e selvaggi
si coniugano in noi con gli abiti della scelta.
Noifemmine, sì, perché esiste un noi inconfondibile
che amoreggia con le nostre differenze
che non ha regole né dogmi
che sa farsi uomo e donna e albero e cielo e terra e fuoco.
E non c'è luogo né modo né ruolo
che possa contenerlo.
La nostra non è solo la forza dei muscoli
è la forza travolgente delle viscere.
La nostra non è l'intelligenza della quantità
è la lucida intelligenza del senso.
Il nostro non è il potere della conquista
è il potere sublime dell'attimo in cui sentiamo di possedere.
Il nostro non è un sentire melenso retorico scontato
è un sentire antico di secoli di ascolto.
La nostra non è la conoscenza dei prodotti e delle statistiche
è la conoscenza del lungo e profondo processo
e delle relazioni.
E quando ancora qualcuno mi dirà
c'è uomo e uomo c'è donna e donna
risponderò che io parlo dell'aroma naturale.
Antico, sensuale, seducente, feroce,
inquietante, terribile, dolcissimo, forte aroma.
Non parlo dei cibi nei quali si è trovato ingrediente
perdendosi o ritrovandosi
riconoscendosi o tornando a smarrirsi ancora.


(pubblicato in Enzo Campi – “Donne. (don)o e (ne)mesi” – Liberodiscrivere – Genova – 2007)




ISABELLA VERDIANA DI TOMASSI



IL BUIO E LA LUCE


Era una notte fatta di rabbia … atroce nella sua natura persistente. Con violenza, caparbiamente voleva albergare nei recessi della sua mente e sulla punta arroventata della lingua. In un segno era riposta la speranza ed all’improvviso, un lampo, attraversò un momento di assoluta estraneità, mentre era sospesa nella sua vita, una vita che passando aveva scavato un solco nelle carni, che ora erano dolenti, sanguinanti, proprio dove già le sue mani avevano frugato a lungo … in cerca del proprio cuore.

Davanti allo specchio indagava la propria immagine, i suoi occhi lasciavano immaginare distese scoscese ed aspre, senza vegetazione, luoghi un tempo lussureggianti, ora battuti dal vento impietoso che aveva cancellato anche le sue lacrime.

Che strano posto era mai quello ….! Occhi che sapevano vedere personaggi bizzarri intenti a tessere le loro trame e lasciar segnali che di volta in volta si erano rivelati mendaci : tutto ciò che era sembrato all’inizio della vita si era rivelato, in un lampo, lasciando che il dolore esplodesse nel petto.

Abbassò lo sguardo, poiché a quel dolore le era sembrato di scorgere artigli di un’ombra non comune che avevano squarciato l’integrità del suo costato. Le sensazioni continuavano ad aggrovigliarsi mentre lo squarcio si allargava.

L’ombra di una razionalità che non da riposo si aggirò da quel momento in ore senza luce, benché fosse una lotta combattuta di giorno e mai di notte: il giorno si trasforma spesso in dubbio, mentre si cercano possibili traduzioni della vita e nel tentativo si lasciò sorprendere dalla notte, accompagnata dall’ambigua presenza del buio.

Buio, padre compassionevole di ombre nelle quali si intravede la parte sommersa di ogni uomo - quella che intimorisce ognuno ed in cui sembra non esserci consolazione, né il benché minimo conforto - in cui il bambino vede mostri, generati invero da ben altre paternità.

Questo è ciò che sembra. La verità è un’altra – ora sapeva …. e scoprì che quella conoscenza leniva, poiché il buio portò con se la verità, illuminata da una strana non-luce, un contrasto.
Il buio così come era all’origine della creazione, solo in seguito portò la luce vera, come un lampo improvviso e sigillo di conoscenza.

Una luce che scopre nuove cose, di giorno nascoste dai rumori della varia umanità che le intenzioni non vuole lasciar nude sotto lo sguardo altrui. Con sorpresa s’accorse che finanche la Natura, in alcuni frangenti matrigna all’uomo, per conservare le speranze e il vigore della vita incoraggia rumori e clangori, di volta in volta estremi o sottili ed anche sottintesi e sibilanti.

Distratti alle voci interne - seppur temporaneamente -, così ci vuole il giorno, per attendere la notte e farla partecipe di quei segreti che il giorno tesse e nasconde allo stesso tempo.

Il giorno non porta conflitto, ma ne è testimone e – di quando in quando - ne nasconde le miserie.
Il buio, invece, partecipato alle coscienze dai ‘guardiani della regola’, i pensieri sottesi alla coscienza, si introduce in ogni vita quando ognuna di esse è ammantata dal silenzio.

Con un lampo rende note le intenzioni di una coscienza ad un’altra ed alcune, occasionalmente, ne vengono reciprocamente illuminate avendo così occasione - magari – di usare quella conoscenza!

Disparità potrebbe sembrare questa di rivelare cose a chi conosce le regole del gioco, ma spesso accade che l’uomo, anche quando è armato di sapere, sia in grado tranquillamente di rovinarsi la festa da solo!
Il buio è il buio che spaventa solo quando dal cuore viene partorito e, soprattutto, quando nel cuore altrui viene percepito.

Così, e sol così il buio è ambiguo.

Come opposto del giorno è solo elemento di contrasto. Lo troviamo lì come un guardiano con ali nere ed ingombranti per tenerci vigili a tirar le somme, per non perdere mai il conto della vita …. offrendo un lampo benevolo … a far Luce!

[Modificato da lunasepolta 09/03/2010 14:19]

Leda






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Post: 547
09/03/2010 14:46
 
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A furia di grassettare nomi ho dimenticato il sorriso per te, Roberta

[SM=g8320]

Leda






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Post: 423
10/03/2010 11:18
 
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Ecco, io ritengo che questa sia l'avanguardia e non solo al femminile.

Che bella poesia, Leda, quanta emissione d'arte viene fuori da queste donne così forti e così poeti.

Alcune le conoscevo già, altre sono splendide scoperte che andrò a cercare.

Riguardo te, conosco bene la tua posizione, il tuo livello, so bene in che fronti ti ritrovi e sono davvero orgoglioso di avere scritto con te e spero di farlo ancora se mi darai questo onore. Ecco, non l'avevo mai detto, ma pare che adesso fosse il momento.

Grazie per questa carrellata di gioielli Luna


S
[Modificato da al_qantar 10/03/2010 11:24]
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Post: 1.681
10/03/2010 21:18
 
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sì, anche io avevo avuto il piacere di leggere alcune di queste poetesse, ma ho scoperto altri nuovi nomi che andrò ad approfondire!

e secondo me devi essere davvero orgogliosa di essere stata menzionata accanto a queste autrici, tra le quali ti collochi benissimo!

grazie per queste nuove scoperte [SM=g8110]

"La più alta forma di intelligenza umana è la capacità di osservare senza giudicare." (Jiddu Krishnamurti)
robertadaquino.wordpress.com



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Post: 547
11/03/2010 09:18
 
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Re:
al_qantar, 10/03/2010 11.18:

Ecco, io ritengo che questa sia l'avanguardia e non solo al femminile.

Che bella poesia, Leda, quanta emissione d'arte viene fuori da queste donne così forti e così poeti.

Alcune le conoscevo già, altre sono splendide scoperte che andrò a cercare.

Riguardo te, conosco bene la tua posizione, il tuo livello, so bene in che fronti ti ritrovi e sono davvero orgoglioso di avere scritto con te e spero di farlo ancora se mi darai questo onore. Ecco, non l'avevo mai detto, ma pare che adesso fosse il momento.

Grazie per questa carrellata di gioielli Luna


S




Hai ragione Sebastiano. Questa piccola antologia include nomi davvero importanti nel panorama della poesia femminile attuale. Enzo è molto attento a mettere in luce nomi già molto conosciuti, ma non teme di accostarli a quelli di cui si sente ancora poco parlare. Questa è una cosa apprezzabilissima, perché dimostra la passione per la poesia, al di là della fama e della conoscenza personale. Lo stimo quest'uomo.

Riguardo me, conosci bene la mia posizione perché insieme abbiamo scoperto ultimamente una strada comune, che ci ha presi e che ora stiamo sviluppando individualmente. E non voglio sentire " mi concedi l'onore, non mi concedi l'onore". Ma che roba è? Da quel mondo ci passo soltanto perché sono loro a includermi senza che io non chieda mai niente. Sono episodi di cui non approfitterò mai. Quindi sappi che ti concederò non l'onore, ma il piacere di scrivere ancora con te, quando capiterà. Perché in questo posto, con voi, mi sento a casa.

Bacini a te.


Leda






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Post: 547
11/03/2010 09:26
 
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Re:
Maredinotte, 10/03/2010 21.18:

sì, anche io avevo avuto il piacere di leggere alcune di queste poetesse, ma ho scoperto altri nuovi nomi che andrò ad approfondire!

e secondo me devi essere davvero orgogliosa di essere stata menzionata accanto a queste autrici, tra le quali ti collochi benissimo!

grazie per queste nuove scoperte [SM=g8110]




Eh sì, Roberta. Queste sono grandi sorprese, tanto più quando piovono così, senza retroscena di alcun tipo. E sono molto orgogliosa, sì, di stare vicino a grandi nomi. Sai benissimo che ho temuto di leggermi subito dopo di loro. Poi ho preso coraggio e mi sono anche data un punto a favore: la fluidità del linguaggio e la musicalità. Per il resto, sai quanto mi senta piccola (pittila, pittila).

Riguardo le autrici, sì. Tutte da conoscere e approfondire, anche perché ognuna di loro apre nuovi panorami sulla poesia di qualità.


(ma che giorno è oggi??? bohhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh) [SM=g10009]


[Modificato da lunasepolta 11/03/2010 09:27]

Leda






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Post: 1.652
12/03/2010 16:41
 
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mamma mia quanta "roba" da leggere... [SM=g8155]
è una lettura che mi voglio gustare con calma, e magari ripeterla e magari dire qualcosa al riguardo, lo farò...
Intanto lasciami complimentare, perchè sai è sempre una bella soddisfazione!

[SM=g8322]



"i ritorni hanno rugiada sulla bocca e sorrisi fra mani confuse"
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