È la volta di
Vittorio Tovoli, bolognese classe ’85, la cui raccolta prende il nome, direi illuminante, di City Mèlange. Illuminante perché? Perché se la mia interpretazione è quella giusta, ci troviamo dinnanzi alla droga immaginaria (mèlange), creata dallo scrittore Frank Herbert, nell’opera “Ciclo di Dune” e che qui si presenta come paesaggio/città/l’intorno visto sotto il suo effetto.
Sembra evidente la ricerca di titoli eclatanti, quelli che riassumono in chiave ironica/comica/sarcastica il testo alfine di incuriosire/stupire il lettore. Singolarità e sagacia si fondono per dar vita ad una scrittura interessante, dallo stile personalissimo.
L'autore si sbizzarrisce nei continui cambi di maschera ed in questo senso non può essere trascurata la sua passione per il teatro, in quanto crea un connubio di arti sceniche/poetiche di tutto rispetto.
Anche se è possibile indovinare diversi volti a caldeggiare i versi, preferisco concentrarmi su quello meno appariscente e che talvolta, sembra celarsi appositamente tra giochi di parole, volti a rimarcare il suono.
Vittorio Tovoli si presenta così:
Vino da tavola
Sono un vino da poco,
quasi un aceto,
ho invidia dei doc.
non so centellinarmi,
lo so.
L’inadeguatezza è il biglietto d’entrata, l’anima generosa-altruista che non riesce a tirarsi indietro, anche quando le porte sono vistosamente chiuse e non c’è speranza al sentimento che diventa a senso unico. Il “vendersi caro” è quanto spesso, per amor proprio, ci richiediamo. Ma l’amor proprio cede dinnanzi all’amore verso l’altro.
Soluzione cardioplegica
Ho imparato a passare sui cadaveri
ma non sulle tue scelte,
che lasciano macerie di discorsi
e stomaci sventrati.
È una vetrofania sgrammaticata
l’insieme delle mie dichiarazioni:
iniettare un lembo
di cuore infetto
l’idea che niente valga
e poi attendere l’osmosi elettrica
tra l’aria della sera e il tuo profumo,
che è come si difende la natura
da un’eventuale esplosione microbica
di giovani speranze.
Secretum
La voce ha piedi nudi
e vetri infranti da passare
per sostenere il cuore.
Io faccio ventriloquio
e ho maschere per ogni volto,
per ogni nostro incontro.
Sapere l’ora del decesso
non ricomporrà il tuo sguardo:
cubi di Rubik gli occhi tuoi
in cui alga, spiaggio.
Allora sei figa
Vittoria tua, probabilmente
ma è come aprire porte aperte
o fare luce al sole.
Forse non sai che sono fatto in pelle,
che prenderò la polvere dei giorni
granello su granello e nei lamenti
sì, ma di un ostaggio imbavagliato
e ignori i miei ritorni a casa
con tutti i nomi che si danno ai maschi
zoppicando a sinistra come i diavoli ubriachi.
Tu lasci vuota una stanza spoglia
eppure hai ceste di fiori bellissimi
che fai morire apposta.
Come ben sappiamo sensibilità e sofferenza percorrono spesso le stesse linee, quest’ultime baciate dall’ironia vengono edificate sull’ amarezza che talvolta come paradosso ci strappa un sorriso.
La capacità di Vittorio di parlare/scrivere senza muovere le labbra/mani, proprio come un ventriloquo, dà l'impressione che i suoni/parole provengano da lontano, ma così tanto, da credere dal profondo dell’io.
Si può decidere fra spettacoli di diverso genere e l’autore fa in modo che ve ne siano per tutti i gusti.
Io ho già scelto il mio volto preferito, quale sarà il vostro?
[Modificato da Francesca Coppola 18/01/2011 18:48]
"i ritorni hanno rugiada sulla bocca e sorrisi fra mani confuse"
www.francescacoppola.wordpress.com