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Animali prima del diluvio, Chiara De Luca

Ultimo Aggiornamento: 03/03/2011 12:21
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02/03/2011 13:55
 
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“Animali prima del diluvio” ospita quattro raccolte di poesie, con altrettante “età”, che hanno inizio nel 2006 per giungere al 2010. La lettura di questo libro presuppone pause, non solo per i molti spunti di riflessione che propone, ma soprattutto per “metabolizzare”/”non lasciarsi trasportare” da tutto il dolore “umano” di cui l’intera raccolta è satura. In questo senso, l’esiguità della punteggiatura suggerisce una certa ansia del dire.

Nella I raccolta “I grani del buio”, si consuma l’intramontabile lotta fra bene e male, capace di generare “granelli sparsi nell’oscurità” ( oscurità come percorso ignoto) ovvero tracce, memorie, segni/segnali e così possiamo leggere di:

/tronchi da scalare//rovesciata in scaglie perdo argento//sotto la pelle tornata insensibile al taglio profondo dei giorni// a chiamarti, e ogni cosa//ma ho rubato gli occhi di un passero in paura fermi nello scatto appena prima del volo per spiccare la salita//perché la pelle nuda da sola non riscalda//svio verso i colli a seminarmi//e un qualche varco oscuro di pensiero//stretto tra le dita non è bianco il pane spezzato del ricordo.

La resistenza vista come fortificazione/virtù, ha come causa i mali del passato, in quanto è nel ricordo che vive il dolore. Un’ottica che comporta, quasi obbligatoriamente, quella faccia da cattivi anteposta come autodifesa; e tutto ha l’aria, il vigore, la durezza di un cammino lento, faticoso, perché gli ostacoli da esterni diventano interiori e viceversa. Allora combatti per due o anche per tre e scavi e seppellisci nello stesso, identico momento. Le parole scelte hanno carica esplosiva, a tratti nervosa, in gran parte dolente, come se ogni mossa provocasse, di certo, una cicatrice.

Sfogliando la seconda silloge “Confinando l’inverno:

/mostrando che l’amore lo uccidemmo/per legittima difesa, di parole//d’incontri troppo presto mancati// A Natale distratto o assordato/ non è giunto a spogliarci/ dal male estirpando il ricordo/lasciando a seccare/nessun Salvatore//oasi coincisa col principio del ritorno/ senz’aver coperto la distanza// quando a fermarsi è far tornare//ma ben oltre ti sei spinta/sul solitario sentiero intrapreso/dove a un punto mi sono destata/e scalza ho gridato nel buio/non tagliare la linea finale//.

Se si potesse “adottare” il letargo come medicina evitando le conseguenze del freddo, non ci sarebbe lotta continua, questo sembra saperlo bene l’autrice, che fa delle sconfitte quasi “incidenti” inevitabili. Come a dire che esistono “prove” costruite ad arte per ognuno di noi, ma il proprio percorso è soggettivo e diverso da ogni altro. E se, qualche volta, l’incrocio porta con sé altre storie, altre vite, queste si rivelano essere notevolmente transitorie; nulla più d’uno scambio ipotetico di aspettative e desideri, che profumano di ricordo, sanno di amarezza o ancor meglio di consapevolezza per quello che poteva essere e che non è stato. Perché l’antica sofferenza non lascia il passo, nemmeno in nome di un dio sovrano di feste comandate, ma anzi pare farsi largo tra la folla e soprattutto nei giorni della speranza per rammentarti che la tristezza ha di certo una radice profonda, inestirpabile. Molto spesso il suono delle parole assomiglia ad un sibilo, per i ritorni frequenti di esse, e, in questo senso, possiamo considerarlo onomatopeico, come quel rumore/scricchiolio che provoca la dignità del proprio sentire in un contesto assordante ma sordo.


Nella terza sezione “La corolla del ricordo”:

/a ingannare chi non sa vedere/ non è servito a niente sprofondare/oscure le radici tra le dune dell’amore/ polline incendiario che trascina il vento/ schiude nuovamente la distanza e mi riporta//La prima pagina bianca è di nuovo/ aperta in attesa di un gesto d’inizio/Cambio agenda ogni volta che muoio/ per questo a febbraio in saldo ne acquisto/ una mezza dozzina almeno//abitiamo un anno intero la distanza di una sera//.

È proprio nella reminescenza, nell’attimo in cui viene sublimata e, spesso, nelle memorie lontane, che incominciamo a credere ; credere che esiste qualcosa di sacro in noi e fuori, tra due mani che si toccano ed emanano energia e forse, sogni. Riaffiora così la speranza e con essa la fede di un incontro. Aprirsi e tutta la fatica che si cela dietro questo gesto apparentemente naturale, per giungere alla medesima destinazione; e cambiano le situazioni, ma le emozioni derivanti dal silenzio sfatto che aleggia nella chiusura di un mercato, così come la fine di un rito, rievocano allo stesso modo il termine di un viaggio. Un percorso chiamato vita, che non avvisa quando è il momento di andare, ma chissà perché poi c’è sempre un botto.


Dall’ultima collezione di testi “Del vento la preghiera”:

/resta pure a pensare se credi/che il cuore melassa poetessa/abbia stuprato nuovi pudori//è tempo di correre fino a cadere/sputare il fiato che ancora rimane/ a dissipare la sabbia dal cuore/scivolare via la pelle in sudore/come davvero si potesse cambiare//e mi chiedo chi adesso vai cercando/vaneggiando di perdono e pentimento/se lo nomini sappi è sempre solo in vano/è un tipo discreto che non s’immischia/da millenni in quello che facciamo//.

Se ci fosse ancora il tempo di una preghiera, questa sarebbe sterile, inutile, persa nel vento assieme ai lamenti, alle chimere. In un tempo in cui le assenze diventano “corporee” e le attese sempre più arrendevoli, l’autrice decide di mettersi ancora una volta in gioco, pur immaginando le conclusioni, ma imponendosi di credere e “sentire” come se non sapesse, come se non intuisse. Perché la vita è una giostra che non si ferma, perché appena non cammini sei per gli altri un vegetale, perché se non combatti, è finita prima di cominciare. Dopo un lungo percorso di formazione (e pur conscia che c’è sempre, drammaticamente, da apprendere), Chiara De Luca ha maturato le proprie convinzioni, non in senso assolutistico, ma come vassoio da cui servirsene.




***Dalle note a piè di pagine, appuntati a matita, sul libro.





[Modificato da Francesca Coppola 03/03/2011 12:21]


"i ritorni hanno rugiada sulla bocca e sorrisi fra mani confuse"
www.francescacoppola.wordpress.com
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02/03/2011 13:56
 
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Da “I grandi del buio”:

Venivo da lontano dentro,
ti portavo negli occhi sacrale
sgomento, fui non sapere,
neve nelle tue mani al disgelo.
Fui fiera, vergogna, distanze,
delle tante fui una e tu unico
tempio dove officiavo
nel buio il sacrifìcio del tempo,
bruciando incensi di fedeltà
fascine scomposte d'attesa
neniando pazienza mortale,
tra i denti il pane del desiderio
a spezzare l'osso dell'ingenuità
- sangue stillando esperienza -
a metà.



**


Adesso non occorre più inchiodare
i palmi del tempo alla memoria,
dalla croce a fondo sdrucciolata
riplasma terra scura nella storia
di lato al funerale dei miei giorni,
corolle sfilate dai contorni
petali sul petto sarchio il buio
rovesciata in scaglie perdo argento,
alborella affondata assisto amore
mio per
dono




da Confinando l'inverno


Adesso le cose non ti dicono più
si può anche tornare a sentire
il canto vorace del fiume
quando piega la schiena la sera.
A impazzire basta il dolore
e le foglie non hanno perdono,
solo sono grate alla mano
che decisa recise lo stelo
riaprendo l'ansia del volo.




**


Nel tempo s'impara a migrare internamente,
per cambiare casa non occorre traslocare:
sbiadiscono le voci come stanche foto
non danno nostalgia paesaggi già sommersi,
s'incartano i ricordi belli per riporli
in ciò che del vissuto è stato risparmiato.
È una musica l'assenza che sfuma intensamente,
siamo note nel vuoto a cercare uno spartito
non resta bianco all'infinito il pentagramma





da La corolla del ricordo



Credo
nel sacro di ogni incontro
nell'irripetibile stagione di un momento
di Eterno presente che redime il tempo
e si possa entrare infine un cuore aperto
custodire il grido teso in ogni sguardo
tenére parole come canto che nel vento
soffia intensamente ponti tra le storie
sul mare di un silenzio enorme che non cede
quando più non frangono le onde dell'attesa
nel piegarsi a un fondo invano di memorie




**


È strano vedi come possa il vento
liberare il cielo e alleggerire in volo
le braccia degli alberi di nuovo genuflessi.
Prigioniera in casa manca ancora tanta luce
bevuta dal palazzo a pochi metri desertato,
mentre sul terrazzo i panni giocano coi fili
appesantiti danzano sgraziati e come ignari
del tempo segreto che battuto dal silenzio
da mesi nel quartiere non fa che replicare
la bellezza dura dei tuoi occhi nell'andare
la tragica saggezza che traveste le paure
le grida dei bambini in quel cortile
così pure




**


Novembre si ribella all'assalto dell'inverno
grandi crepe dilatate nelle nuvole dal vento,
un passo si appoggia lentamente dopo l'altro
tentando di alterare il volgere del tempo,
abitiamo un anno intero la distanza di una sera
vorrei essere di strada ma la strada non è chiara,
saperti dietro i vetri è la nuova vocazione
rigiro in bocca il fiato come una preghiera
ma il battito ha il ritmo di un'altissima canzone.
Il buio è disegnato in cerchi brevi dai lampioni,
auto in fila indiana sono stanche di arrancare
aprendosi per terra un varco lucido d'asfalto,
loro sono giovani e spogliate di tormento
insanabile sui viali a tarda notte il gelo





da Del vento la preghiera



Disegna una curva malinconica
il dorso della sera nel piegarsi
attenta a non lasciarmi tracce
alle spalle su spiagge di silenzi
scruto una promessa di orizzonte
un filo solo perduto dal tramonto
sdrucito tra le pieghe delle tegole
sul tetto che rilascia il suo respiro
caldo e trasparente contro il cielo
Non hanno fatto spazio le parole
resta stretto il tempo nelle ore
senza soluzione il mio svanire




**


Hanno occhi piccoli le foglie aperti
da insetti sulla carta straccia della pelle
a passi lievi e tesi danzano discoste
ognuna ha la sua musica nel giro
del turbinoso assenso alla caduta
quando il tempo a ossequio dell'inverno
si disfa del suo peso e scioglie invano
la benda che ha inchiodato gli occhi
al desiderio, al volo,
ciascuna per suo conto si dimentica
della furia estiva dell'incontro
a rami tesi, palmi al pane bianco
di cielo lievitato dal vento.




**


Anche chi non è esistito lascia un vuoto,
ombra della pena che l'ha generato
cerchi inespressi di significato
a chi della pietra ha visto solo la caduta
fino al rimpianto tutto è rinunciato
quando nulla di un cuore è custodito
in segreto come sacro



Dalla sua biografia:


Chiara De Luca corre quindici chilometri al giorno, scrive poesia, narrativa, saggistica e per il teatro. Traduce da inglese, francese, tedesco, spagnolo, portoghese, olandese. 
Ha pubblicato con Fara i romanzi La Collezionista (2005) e La mina (stra)vagante (2006), con Perdisa la pièce teatrale Duetti, con Kolibris le raccolte poetiche La corolla del ricordo (2009, 2010), edita anche in versione bilingue italiano-inglese, con traduzione a fronte di Eileen Sullivan (The Corolla of Memory, 2009), e animali prima del diluvio. Poesie 2006-2009 (2010)
Ha tradotto, tra gli altri, Marcos Ana, John Barnie, Thomas Beller, Pat Boran, Eva Bourke, Jorge Carrera Andrade, John F. Deane, Patrick Deeley, Guy Goffette, Dominique Grandmont, Nigel Jenkins, Thomas Kinsella, Nuno Júdice, Werner Lambersy, Philip McDonagh, Colette Nys-Mazure, Peggy O’Brien, Sabina Naef, Gray Sutherland, Anne Wigley, Liliane Wouters, Enda Wyley. Si occupa di critica di poesia italiana e straniera su riviste e siti letterari. Ha curato l’antologia di giovane poesia contemporanea Nella borsa del viandante (Fara, 2009). Ha realizzato e gestisce il sito italianpoets.wordpress.com, che ospita le opere di circa 140 poeti contemporanei. Si occupa di poesia e video-making. Ha creato le Edizioni Kolibris, dedicate alla diffusione della migliore poesia straniera contemporanea, prediligendo autori mai prima tradotti in italiano: www.edizionikolibris
[Modificato da Francesca Coppola 03/03/2011 12:00]


"i ritorni hanno rugiada sulla bocca e sorrisi fra mani confuse"
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Post: 1.681
03/03/2011 09:20
 
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Anche io ho il piacere di tenere a casa questo libro. Una raccolta che va letta con calma e molte pause, almeno per quanto mi riguarda.
La poesia di Chiara non si disvela subito ad una prima lettura e dunque il suo fascino sta nel creare una sorta di rebus da sciogliere che ti spinge a numerose letture dello stesso testo prima per decifrarlo e poi per amarlo nella sua totalità di immagini che calamitano l'attenzione e di significato, sempre enormemente profondo.

Chiara mi lascia dei flash indimenticabili, immagini rapide che si inchiodano alla memoria. E poi il vuoto di un enorme sconforto, o il pieno di un dolore personale che diventa universale. Le sue riflessioni sulla vita sono quasi una specie di manuale di sopravvivenza.

Un'ottima lettura che non ho ancora completato nella sua interezza, ma che consiglierei vivamente.

"La più alta forma di intelligenza umana è la capacità di osservare senza giudicare." (Jiddu Krishnamurti)
robertadaquino.wordpress.com



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