Lettera aperta ad una poetessa

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Nihil.
00giovedì 17 novembre 2011 22:00
Cara,

la parola è una fede, un cielo rannuvolato, noi siamo come il vento (concedimi l'inciso a rasoio), lo sgombriamo dal grigio, lo ripuliamo, con l'amore dei bimbi che lucidano il balocco che il papà gli ha regalato.
Sai, ieri ho visto una ragazzina seduta ai parchetti, giocava col taglierino, lo guardava come una stilo, un compagno d'infanzia, lo muoveva con la sicurezza di un arto, e non tremava quando ha inciso sul legno “t amo, sei tt, t kiedo, nn mi abbandonare”, credeva che lui sarebbe passato, e una ferita gli si sarebbe aperta sulle labbra, quel rimorso -che come un ragno- ti paralizza, ti costringe a fermarti e chiederti se ha ancora un senso mentire, fingere di non sapere, che le parole hanno una consistenza, un peso, sono come biglie -o meteore- lanciate contro l'immobilità delle cose.

A lei -e a nessun altro- ho giurato fedeltà, la dedizione di uno sposo, alla sua lingua semplice, contratta, che nonostante tutto chiede ascolto, e se ne frega del buio, della pioggia, della mano che passerà per cancellare, perché chi ha fede non si vergogna di balbettare, di lanciare un urlo quando è solo: sa' che qualcuno raccoglierà la sua parola, ne farà manifesto o preghiera.

Adesso starai ridendo, ritenendomi un sognatore, anni d'accademia e libri e libri impilati come una scala verso il cielo, per finire seduto su una panchina, a lottare contro questo trinciato che cade tipo foglia sulla tastiera, ma io dico: ho ancora la bontà feroce di un adolescente. Dico: se la parola è morta, perché il corpo ancora brucia, quando la sente?

Francesca Coppola
00martedì 22 novembre 2011 12:26

questa lettera a cuore aperto mi piace! ho amato su tutto la chiusa, ma direi che in toto è riuscita.
Vorrei analizzarla, appena avrò più tempo ritornerò.

Nel frattempo un saluto a te! [SM=g8217]

Versolibero
00mercoledì 23 novembre 2011 10:26
Molto bella questa lettera-poesia

la parola è una fede, un cielo rannuvolato, noi siamo come il vento (...) lo sgombriamo dal grigio (...) con l'amore dei bimbi che lucidano il balocco che il papà gli ha regalato.

Ci leggo un ritorno alla purezza dei bambini alle prese con la vita degli adulti che possono essere ipocriti mentre loro non sanno e non vogliono fingere.
Forse avrei reso il primo passaggio più essenziale.

Sai, ieri ho visto una ragazzina seduta ai parchetti, giocava col taglierino, lo guardava come una stilo, un compagno d'infanzia, lo muoveva con la sicurezza di un arto, e non tremava quando ha inciso sul legno “t amo, sei tt, t kiedo, nn mi abbandonare”, credeva che lui sarebbe passato, e una ferita gli si sarebbe aperta sulle labbra, quel rimorso -che come un ragno- ti paralizza, ti costringe a fermarti e chiederti se ha ancora un senso mentire, fingere di non sapere, che le parole hanno una consistenza, un peso, sono come biglie -o meteore- lanciate contro l'immobilità delle cose.

Bella l'idea della stilo che incide, taglia, scoplisce il senso delle cose attraverso il linguaggio, un linguaggio che scava ed erode se stesso lasciando un sillabare essenziale; anche qui c'è il richiamo a un compagno d'infanzia, quasi come se fosse uno specchio in cui riconoscersi simili, non soli; mi piace pure l'immagine successiva di un arto che non trema ma è preciso, come se denudasse la parola prima di inciderla sul legno. Tutto ciò in contrapposizione alle maschere, all'ipocrisia di chi finge e si veste di parole vuote ed effimere. Bella anche l'idea delle parole come biglie o meteore contro la staticità su cui il linguaggio va a vivificare-illuminare.
Metterei qualche virgola in meno (via quelle dopo 'arto', 'passato' e 'sapere') e forse metterei due punti dopo 'parchetti' e punto e virgola dopo 'abbandonare'. Il primo inciso lo sposterei dopo 'che'
(quel rimorso che - come un ragno - ti paralizza) ma alla fine sono minuzie.

A lei -e a nessun altro- ho giurato fedeltà, la dedizione di uno sposo, alla sua lingua semplice, contratta, che nonostante tutto chiede ascolto, e se ne frega del buio, della pioggia, della mano che passerà per cancellare, perché chi ha fede non si vergogna di balbettare, di lanciare un urlo quando è solo: sa' che qualcuno raccoglierà la sua parola, ne farà manifesto o preghiera.

Trovo che questo passaggio sia molto intenso (ammesso e non concesso che non lo sia tutto il resto) perché racchiude il concetto e l'emozione, e così pure il passaggio finale:

Adesso starai ridendo, ritenendomi un sognatore, anni d'accademia e libri e libri impilati come una scala verso il cielo, per finire seduto su una panchina, a lottare contro questo trinciato che cade tipo foglia sulla tastiera, ma io dico: ho ancora la bontà feroce di un adolescente. Dico: se la parola è morta, perché il corpo ancora brucia, quando la sente?


Molto bravo Leonardo, proseguirei verso questo tipo di scrittura, che trovo più intima, dà più spazio all'emozione e paradossalmente risulta più incisiva delle poesie.
Pur trovando intenso l'ultimo verso, non ho capito quel: "se la parola è morta, perché il corpo brucia quando la sente?"
Avrei pensato a una parola viva. Mi spieghi questo ossimoro?

Ciao


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