|
16/02/2010 15:08 | |
“Non so perché ho iniziato a scrivere, forse per noia o per colpa di questo vento strano che entra nei pensieri; era tanto tempo che non lo facevo, da quando ciò che sento ha una scadenza imposta da altri. Sono qui seduto sopra questo traghetto e scrivo le mie impressioni, mentre le ultime persone prendono posto, alcune ragazze si sdraiano in costume su delle stuoie per prendere il sole, e i giovani marinai si preparano per salpare. Ho voluto questo viaggio per cercarmi e ritrovarmi là dove mi sono perso una mattina di settembre. L’isola dista circa tre ore, ma il tutto è a discrezione del mare che appare tranquillo, quasi svogliato. Un ragazzo, poco più che maggiorenne, parla in un microfono descrivendo, per i turisti, i tempi e i pasti del viaggio. Una coppia di anziani cerca un po’ d’ombra, o un posto dove ripararsi dall’acqua, e quelle ragazze sdraiate si spalmano bene la crema abbronzante. La gente presente è davvero multirazziale, ci sono orientali ed europei, indiani e mussulmani, tutti allegri e spensierati in un bel clima vacanziero. Il motore della barca comincia ad aumentare i suoi colpi, e la terraferma distante è sempre più lontana. Viaggio di schiena dove posso, anche sui treni, lo considero un modo diverso per guardare il passato, forse perché non ho mai sofferto alcun tipo di viaggio, anzi lo trovo piacevole, e sono sempre un po’ emozionato. Una famiglia di francesi consuma l’impossibile, tra bibite, merendine, e sacchetti di patatine, quelle particolari al gusto di gamberi. La terra ormai si perde all’orizzonte e anche gli ultimi gabbiani ci devono abbandonare, una voce dal microfono avverte che a breve, giù nella stiva, verrà distribuita la colazione, con grande entusiasmo della famiglia francese. Approfitto di questo momento d’agitazione per mandare un messaggio a casa, a chi non ha voluto seguirmi e accompagnarmi, poche parole e un malinconico saluto. La traversata continua serena, quando un ragazzo australiano chiede notizie della sua tavola da surf, alcuni giovani orientali continuano a fotografare ogni cosa, anche le ciambelle salvagente e il capitano al timone, due distinti signori giocano a dama in disparte, una ragazza mulatta legge assorta, e un gruppo di italiani fa la solita confusione. Il mare al largo è un po’ più increspato, e la barca pende leggermente di lato, il sole non è più così caldo, anche se la pelle comincia a bruciare. Una ragazza americana si siede al mio fianco, dopo avermi chiesto gentilmente se il posto era libero, ha dei lunghi capelli biondi e un bel viso ricco di lentiggini, mezzo nascosto da grossi occhiali da sole, che nonostante questo non riescono a celare la tristezza che l’avvolge, osserva fissandola la scia della barca, l’impressione è che la sua mente sia ben lontana da questo mare, questo particolare, a pelle, è quello che più mi attrae, anche se lei non presta a me molta attenzione. Un’onda più alta genera qualche urletto giù nella stiva, dove alcuni passeggeri si sono bagnati, mentre l’uomo francese, per nulla preoccupato, chiede a uno dell’equipaggio quando verrà servito il pranzo. La barca è in mare aperto, ancora ben distante dall’isola, ascolto distratto i discorsi di quel gruppo d’italiani, che, abbastanza agitati, parlano delle onde sempre più alte, quando la ragazza americana si alza all’improvviso guardandomi e abbozzandomi un sorriso, un’onda molto grande fa sobbalzare il traghetto, finire tra le mie braccia quella ragazza e la mia penna per terra, lei si scusa imbarazzata e scende giù nella stiva. Questo avvenimento ha fatto un bel segno di penna sul questo quaderno, che lo rende più bello, perchè sa di vissuto. L’ondeggiare convinto della barca genera malumori e alcuni passeggeri soffrono ancor più d’ansia e di nausea. Un attimo dopo la porta di legno, al centro della barca, si rompe improvvisamente e l’acqua entra abbondante lavando molte persone, il mio sguardo in quell’ attimo è rapito dalle pedine della dama che rotolano indisturbate verso la poppa dello scafo. Siamo nel bel mezzo del mare aperto in un momento di panico generale e non sono mai stato così sereno, continuo a scrivere di tutto ciò che accade, leggero come un soufflè. La barca arriva quasi a spegnere il motore, e ogni persona dice la propria sul da farsi, un uomo si avvicina e mi chiede se voglio un giubbetto salvagente, mentre una signora è quasi stizzita dal fatto che continui a scrivere.L’equipaggio intanto ha riparato la porta, e con l’andamento lento della barca è tornata quasi la calma. La famiglia francese si informa se ci sarà una merenda, mentre il ragazzo australiano si dice entusiasta da queste onde, e non ne fa mistero, la mia attenzione si sofferma su quella ragazza mulatta, ha uno sguardo molto serio e gli occhi lucidi, da subito sono il solo ad accorgermene, poi anche il resto dei passeggeri. Ora quella ragazza piange decisa, e le lacrime le bagnano copiose il grazioso viso, uno di quegli uomini che giocavano a dama le si avvicina chiedendole se non si sente bene, e lei scuote la testa continuando a piangere. Una signora le dice di non preoccuparsi e di non avere paura che il peggio è passato, e che a breve vedremo l’isola all’orizzonte. Quella ragazza, dopo un po’ di silenzio e con le lacrime ancora negli occhi, disse in un perfetto inglese: Non ho paura, non piango per questo, piango per voi e per i vostri cari. La gente si guarda perplessa e alcuni di questi non hanno ben capito, un signore di colore le si avvicina porgendole un fazzoletto che lei prende per asciugarsi le lacrime, ci sono molte più persone qua sopra, perché il mare si sente maggiormente giù nella stiva, anche se ormai i momenti di terrore sembrano passati. Il microfono avverte che manca circa un’ora all’arrivo all’isola, mi accorgo in quel momento della ragazza americana, è in piedi vicino a me, e si è tolta gli occhiali, ha degli occhi splendidi, azzurri come un lago di montagna, che guardano di lato all’orizzonte, velati di incredibile malinconia, mi chiedo a cosa pensa e qual’è il suo…”
Questo scritto è stato ritrovato, praticamente integro, tra i resti delle macerie del traghetto “Ruami” salpato da Labuhan e diretto all’isola di Sumbawa, dove una donna saudita di ventiquattro anni, imbottita di tritolo, si è fatta esplodere provocando la morte di 17 persone e il ferimento di altre 42
p.s.: è solo pura fantasia, non è accaduto niente di tutto questo. |