00 15/02/2011 11:15
Mi scuso per la il lungo tempo che ci ho messo per rispondere, ma ho avuto gli esami all'università e solo ora sono libero di pensare senza gli affanni delle scadenze. Allora: ci sono dei limiti abbastanza evidenti nel pensiero che esponi, che segnalo velocemente. Prima cosa: confondi la poesia con la lirica (cioè l'espressione di sentimenti, emozioni, fatti autobiografici, ecc dell'autore) che è un sottogenere della prima, non la poesia tout court, così come il ritratto e il paesaggio sono sottogeneri della pittura, che per molti versi sono l'equivalente della lirica nella poesia, anche se con alcuni distinguo che non vale la pena di sviluppare in questa sede.

Secondo punto: l'uomo vive nella storia e nella cultura del suo luogo d'origine, se togliamo lo sfondo storico all'uomo, quello che esprime risulta incomprensibile o -per paradosso degli opposti- infinitamente rielaborabile, perché gli si taglia ogni radice che rimandi a qualcosa di concreto, ad una precisa visione del mondo che necessariamente si ha vivendo in un dato spazio e in un dato luogo. Esempio: oggi molti poeti della nostra generazione usano nella loro lirica parole come "precario", "instabile", "a tempo determinato", ecc se noi li legessimo eliminando ogni riferimento esterno al mondo che ci circonda avremmo grosse difficoltà a capire il perché ricorrono continuamente questi lemmi e a che concetti si riferiscano, perché è vero che la precarietà è un tema ricorrente anche in "Porto sepolto" di Ungaretti, ma la precarietà del soldato al fronte è molto diversa da quella del lavoratore a termine; oppure, seguendo un'altra possibilità del tuo ragionamento, dovremmo concludere che decine di io indipendenti gli uni dagli altri si sono accorti improvvisamente che la precarietà è parte fondamentale dell'esistenza, ma siccome lo sviluppano ognuno all'interno del proprio mondo ermeticamente chiuso in sé, non possiamo stabilire alcuna connessione fra una poetica e l'altra e quindi la conclusione è che tutti parlano di precarietà, ma sotto questa parola non c'è nessuna realtà esterna a quella dei singoli io.

Terza obiezione: l'arte coinvolge l'uomo nella sua completezza, quindi sia la parte sentimentale (o irrazionale, come preferisci) sia quella razionale (o critica)... se noi eliminiamo una delle 2 parti, l'arte non è più quel miracolo che ricrea l'unità dell'uomo compromessa dal reale, ma diventa la trasposizione su un altro piano della scissione che sperimentiamo nella vita di tutti i giorni; se noi eliminamo la parte razionale dall'arte, cioè tutto quella che la ricollega ad una realtà oggettiva, storica, condivisa finiamo per fare dell'arte una forma di mistica, in cui esperienze talmente eccezionali e private si rivestono di un linguaggio insufficiente ad esprimerle (appunto perché il linguaggio fino a prova contraria è convenzione comunemente accettata) e l'unica possibilità che ha di fronte il lettore è quella di abbandonarsi totalmente al testo, tentando di cogliere l'assoluto che vi traspare. Se questa posizione ha senso davanti alle epifanie del divino (o presunto tali), più difficile mi riesce collocarlo di fronte alla narrazione di fatti auto-biografici, che si svolgono in un preciso contesto storico e culturale, e si esprimono in un linguaggio che si presume condiviso, perché se tu scrivi "pane" io penso ad un composto di granaglie mangiabile, ma se "pane" nel tuo mondo interiore diventa tagliaerba, allora salta ogni piano condiviso e l'unica mia possibilità è il silenzio estatico di fronte a qualcosa di incomprensibile.


Detto questo preciso una cosa: quando parlo di ideologia, non lo faccio nel termine dispregiativo comune che intende "falsità, raggiramento, ecc" ma nel suo significato originale di verità parziale che si pretende totale, astorica, inconfutabile... le posizioni che tu esprimi sono oggi abbastanza comuni in certe correnti della critica dell'arte (e tu dirai "eccome, sono pensieri miei!" e io ti rispondo con le obiezioni di prima), e hanno la loro validità quando interpretano tutto quel movimento che và sotto il nome di post-modernismo, il problema è quando si avventurano ad analizzare con i loro criteri l'arte passata (anche quella di 50 anni fa), mostrando di non riuscire a comprendere come fosse possibile ad esempio per Giotto credere che i suoi dipinti rappresentassero la visione del mondo e della storia di tutti i cistiani, e non una suo personale punto di vista su una cultura condivisa (il cattolicesimo) presa come pretesto per esprimere il suo io interiore.

"Il poeta è puro acciaio, duro come una selce" Novalis

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