00 19/02/2011 13:41
1- E' proprio la quantità che fa sorgere il bisogno di un discrimine: siccome ci sono centinaia di poeti sul web e altrettanta migliaia su carta stampata (si contano 500.000 libri di nuovi poeti stampati negli ultimi 10 anni) necessariamente bisogna darsi dei criteri, perché leggere tutto non si può, e anche se si potesse il mio terrore è fare la fine di alcuni critici musicali che frequentavo ai tempi dell'università di filosofia, che avevano migliaia di gruppi nell'hard disk e quando gli chiedevi di fare una cernita, di passarti il meglio, ti rispondevano che è impossibile scegliere fra tanti stili, estetiche, ecc e ti davano l'intero hard disk dicendo "ascolta"... nel giro di un anno questo sistema mi ha portato alla nausea per la musica. Poi c'è un altro problema: leggere in profondità un testo significa usare risorse cognitive che una persona possiede in quantità molto limitata, sprecarle per testi che non valgono la pena sarebbe come dare un occhiata di fuggita alla Cappella Sistina e poi stare un ora ad osservare il policromismo nel disegno di un bambino delle elementari.

2- Il discorso che tu hai fatto va bene per la lirica, ma come la mettiamo per l'epica? In più anche in lirica esistono capolavori che sono opere collettive, come ad esempio la poesia di Saffo, le prime raccolte surrealiste, ecc come è possibile se ognuno ha il suo mondo possa scrivere con altri, e fra l'altro degli indiscussi capolavori? E' un problema che tu non hai affrontato. Per quanto riguarda la mia poesia, la cosa è abbastanza semplice: sebbene il genere letterario che adopero di solito è la lirica, i presupposti di fondo con cui scrivo sono anti-lirici... sembra una contraddizione, ma non lo è, anzi è una casa abbastanza comune presso altre tradizioni letterarie, ad esempio la lirica tedesca (anche femminile). Io più che fare poesia dipingo icone con la parola, e uno dei criteri fondamentali dell'icona è la spersonalizzazione dell'autore di fronte al soggetto ritratto, questo non significa che nell'icona non c'è il suo autore, solamente che la sua presenza è così rarefatta che si fonde con il soggetto rappresentato, invece di sovrastarlo o addirittura sostanziarlo.

3- Un'analisi a tutto tondo è impossibile, appunto perché critica significa squadrare un oggetto secondo determinati criteri, che per loro stessa natura sono variabili e demolibili, ma non arbitrari, ed è qui che sta il bello. Io squadro un'opera secondo criteri storico-sociali e estetico-formali, combinando due approcci nati in differenti contesti ma i cui canoni non entrano in conflitto fra loro, mentre se volessi seguire quella linea estetica il cui miglior esponente è Deridda, che sostiene l'assoluta autonomia del testo da qualsiasi logica estrinseca al testo stesso, dovrei necessariamente rinunciare ai primi due approcci, perché logicamente incompatibili col terzo. La critica non è arbitraria perché i criteri scelti servono ad estrarre dall'opera cose che nell'opera sono presenti, portandole alla luce, e tale estrazione viene eseguita attraverso metodi accettati perché condivisibili... esempio: io posso giudicare un sonetto in base al suo rispetto dei canone tradizionali di questo componimento, è un punto di vista parziale e limitato, però è condivisibile. Se io giudico il valore di una poesia in base a quante "I" e "U" sono presenti nel testo, vengo preso per un imbecille, perché il criterio che utilizzo non ha alcun rapporto logico col testo che ho di fronte.
Ed è appunto l'ultimo esempio una delle possibili conseguenze del tuo ragionamento: se saltano i criteri logici condivisi per squadrare un testo, e lo si prende come parto autonomo strettamente legato al suo autore, esistono solo 2 modi per leggerlo: o seguendo il proprio gusto personale, per cui ogni criterio è valido ed equiparabile ad ogni altro, oppure seguendo le indicazioni date dall'autore stesso, creando dei cortocircuiti al limite del tragicomico.
Prendo questo esempio per tutti: un giovani autore di romanzi mandò la propria opera prima al celebre critico e linguista Massimo Arcangeli, perché gliela recensisse. Il nostro critico (essendo un linguista) fece una recensione di tipo formalista, notando come il lessico e le forme usate corrispondessero ad un tipo di letteratura giovanilistica pre post-moderna, ecc insomma stroncò garbatamente il libro. Poco dopo gli arrivò una lettera del suddetto autore, in cui quest'ultimo sostenva che l'Arcangeli non avesse capito nulla della sua opera, che andava giudicata secondo i canoni della canzone rap! Al ché il nostro buon Massimo rimase al quanto turbato, dato che aveva sempre ritenuto che romanzo e canzone rap fossero due forme comunicative differenti, con storie e forme diverse, e lo scrisse al giovane autore... che a stretto giro di posta gli rispose che se lui ha scritto il suo romanzo come una canzone rap, l'unico modo per giudicarlo era quello di applicargli le categorie della canzone rap. Dopo questa lettera, Arcangeli gettò la spugna e scrisse un bel libro sull'impossibilità di criticare un autore contemporaneo.


"Il poeta è puro acciaio, duro come una selce" Novalis

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