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Fabio Pusterla: "Le terre emerse"

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    Nihil.
    Post: 711
    00 15/02/2011 13:02
    Consiglio la raccolta pubblicata da Einaudi del poeta italo-svizzero Fabio Pusterla (classe 1957), la cui poetica è per certi versi unica nel panorama della lirica italiana. I temi centrali di Pusterla sono quelli comuni alla gran parte della poesia post anni 70: la continuità fra vivi e morti, il confronto scontro con il nichilismo, lo sfasamento fra lingua e cosa, l'impossibilità di attingere ad una qualsiasi forma di trascendenza. Le peculiarità del poeta ticinese sono: una visione del continuità delle generazioni vista sia come continuità culturale (da qui le non infrequenti poesie sociali e politiche) sia biologica, in quanto l'uomo si trova inserito nella spirale evolutiva della natura, di cui è stretto parente tanto da poter chiamare antenata l'alga, la salgemma, ecc. un'ossessione (presente soprattutto nelle prime raccolte) di nominare con il proprio nome scientifico gli elementi naturali, quasi che la forza della parola potesse giungere fino all'evocazione magica, per poi constatare che questo nome non è che un etichetta, a cui l'oggetto rimane indifferente. Eccovi alcuni testi:

    Allievi


    Li incontro sulle piazze
    o in qualche bar, li riconosco
    quasi sempre, e penso cosa diventano,
    adesso, tutti quegli occhi, quelle dita.
    Carburatori cravatte. Certi timidi,
    altri perfino odiosi. E i devastati,
    quelli che leccano l'asfalto.
    E infine anch'io,
    che ho in mano cetrioli e carta igenica.


    Senza titolo

    E poi qualcuno va, tutto è più vuoto.
    Se ci ritroveremo sarà per non conoscerci,
    diversi nei millenni, nella storia
    faticosa di tutti; e intanto arretrano
    i ghiacciai, s'inghiotte il mare
    lo stretto, ed il passaggio
    è già troppo profondo, impronunciabile,
    sepolto nel passato del tuo viaggio. Se ci ritroveremo
    non ci sarà memoria per me, insetto,
    per te, fatto farfalla tropicale.
    D'altra parte, lo sai, non ci vedremo
    più. Nessun colombo verrà, nessuna pista
    a ricucire lo strappo, la deriva
    di morte.


    Dum Vacat

    Ma spiove, è notte, o sera;
    anonima la strada,
    solitaria nell'andare tra le altre
    che da lei si dipartono a ogni incrocio.
    Dagli ultimi semafori
    lampi, scatti metallici
    aranciati. Poi macerie o depositi,
    assi divelte, latrati.
    Muri d'alberi neri, cespugli e rare case
    illuminate? Una distesa
    di freddo guarda immobile
    il tuo asfalto bagnato


    A Nina che ha paura


    Gli scricchiolii notturni e quel silenzio
    irreale: foglie, voci lontane, uno sciacquio
    forse grossi pesci nel lago. Anche la luna
    che passa ha la sua voce
    lunare, di capra gialla. Ed è il tuo turno,
    stavolta, di vegliare
    su me, sul mio respiro
    che ogni poco svanisce nel buio.
    Ma non pensarci, se puoi,
    non preoccupartene;
    so troppo bene cos'è svegliarsi di notte,
    tendere invano l'orecchio, maledire
    il nulla che ci attornia,
    un muro inerte.

    "Il poeta è puro acciaio, duro come una selce" Novalis

    No Copyright: copia, remixa, diffondi.






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    Francesca Coppola
    Post: 1.652
    00 16/02/2011 21:28


    sì, è decisamente interessante!
    leggo originalità, un'ottima conoscenza e strutturazione del verso e tanti spunti per la riflessione.
    Grazie Leo, gli darò un'occhiata.






    "i ritorni hanno rugiada sulla bocca e sorrisi fra mani confuse"
    www.francescacoppola.wordpress.com