00 05/02/2011 20:08
Sto leggendo "Amore liquido" del sociologo ebreo-polacco Bauman, e per puro caso le tematiche che tratta si riallacciano a quanto emerso in recenti discussioni sulla poesia. Il passo più interessante in questo senso è il seguente:

"Uno dei risultati più portentosi di questa nuova ideologia fu la sostituzione della nozione di "identità condivisa" con quella di "interessi comuni". La fratellanza basata sull'identità sarebbe diventata -così ammoniva Sennett- una "empatia per un selezionato gruppo di persone alleate tra loro e il rifiuto di quanti non rientrano nella cerchia locale" [...].
Alcuni anni dopo Benedict Anderson coniò il termine "comunità immaginaria" per spiegare il mistero dell'auto-identificazione con un ampia categoria di ignoti stranieri con i quali si ritiene di condividere qualcosa di abbastanza importante da indurre a riferirvisi con un "noi" di cui io, colui che parla, sono una parte. [...] All'epoca in cui Anderson sviluppò il suo modello di "comunità" immaginaria, la disintegrazione di vincoli e legami impersonali (e con essi, come direbbe Sennett, dell'arte della "civiltà" - dell'"indossare la maschera" che al contempo protegge e consente di godere di una compagnia) aveva raggiunto una stadio avanzato, così che la pacca sulla spalla, la vicinanza, l'intimità, la "sincerità", l"aprirsi fino in fondo", il non aver segreti, la confessione compulsiva e forzata stavano diventando le uniche difese dell'uomo contro la solitudine e il solo filo disponibile per tessere la tanto anelata tela dell'aggregazione. Si potevano concepire totalità più ampie della reciproca cerchia confessionale solo immaginandole come un "noi" gonfiato e ampliato, come un identiticità (sameness) -erroneamente chiamata identità- dilatata. L'unico modo di inglobare gli estranei in un "noi" era riplasmarli come potenziali partner in rituali confessionali destinati a rivelare un "dentro" simile (e quindi familiare) una volta spinti a condividere le loro intime sincerità.

La comunione di io interiori basata su auto-rivelazioni reciprocamente incoraggiate potrebbe essere il fulcro della relazione d'amore. Potrebbe mettere radici, germinare, germogliare all'interno dell'isola autonoma o semi autonoma delle biografie comuni. Ma così come accade al collettivo morale a 2 -il quale, ogni qualvolta viene allargato per accogliere il terzo, e quindi messo faccia a faccia con la “sfera pubblica”, trovi i propri impulsi e le proprie intuizioni morali incapaci di affrontare e risolvere le questioni di giustizia che la sfera pubblica dissemina- la comunione dell'amore è colta di sorpresa dal mondo esterno, non pronta ad affrontarlo con successo, ignara delle doti richieste a tal fine”


Qui non si parla di arte, ma il discorso è perfettamente applicabile alla poesia sostituendo alcuni termini. Da notare come Bauman dica “La comunione di io....potrebbe mettere radici” ma “ la comunione dell'amore è colta di sorpresa dal mondo esterno”. Gira tutto qui il problema: la poesia basata sull'auto-rivelazione necessità per rendersi visibile della lingua, strumento non suo, appreso, eteronomo, condizionante e con questo strumento instaura un rapporto a 2 d'amore; quando entra in scena il lettore si ha il dramma: il suo chiedere conto della relazione fra autore e lingua potrebbe mettere in discussione le basi del rapporto, così si aggira il problema chiedendo una cosa al lettore per essere ammesso nella coppia: la fusione mistica con il testo. Secondo questa visione il lettore spogliandosi della propria razionalità (cioè di stabilire connessioni, analogie, differenze) ottiene in cambio la comprensione intuitiva, immediata, totale non del testo (si badi bene) ma del fondo comune e misterioso che lega la rivelazione del sé dell'autore a quella dello spettatore.
Abolito il rapporto razionale fra testo e artista però si hanno anche altre conseguenze per corollario: la forma in quanto limite e scandalo (essendo veicolo dell'epifania di sé eppure strumento mediato, appreso, sociale in senso lato) viene sovraccaricata di significato oppure svuotata, nel primo caso si ha una rottura con i codici comunicativi e di senso che il linguaggio porta con sé a favore di una ristrutturazione globale, eseguita con criteri personali (arbitrari) che non devono rendere conto che alla necessità della rivelazione dell'io dell'autore (in questo senso si colloca esempio la poesia fatta di urla, nenie e sillabe disarticolate dell'ultimo Artaud), nel secondo caso invece la forma viene trascurata, martoriata, in quanto ciò che le da' valore non è la sua intrinseca bellezza, musicalità, ecc ma il contenuto che è chiamata a veicolare, ossia l'intimo dell'autore (vedi l'ultima Alda Merini).
Il secondo corollario è la rottura del rapporto tradizionale fra opera e scrittore, che è di tipo paterno-filiale: se nella concezione classica l'opera porta con sé tracce dell'io dell'autore ma è altro autonomo rispetto a quest'ultimo (esattamente come il figlio è altro libero dal padre), questa visione necessariamente veicola un tipo di rapporto in cui lo scritto è estensione fisica dell'io che disvela, ergo la poesia perde la sua possibilità di essere valutata in ragione di se stessa, mentre si chiede alla valutazione di caricarsi di un giudizio sull'io dell'autore, quindi di passare da criteri di tipo estetico a criteri di tipo morale, due ordini assiologici che tradizionalmente venivano nettamente separati. Questo crea anche il fenomeno tutto moderno dell'autore continuamente chiamato a spiegare, render conto, re-interpretare la sua opera per giustificarne l'esistenza che scissa da lui non avrebbe ragione d'essere.

Ad uno sguardo critico, l'ideologia dell'intimità si rivela tale in quanto è una concezione d'arte e artista che non è originaria come vorrebbero i propugnatori di questo visione, ma un prodotto storico di cui si può facilmente rintracciare la genesi, nemmeno troppo lontana nel tempo: nasce come democraticizzazione (quindi paradossalmente come sotto-prodotto ideologico) del culto dell'io romantico, che come noto si voleva antidoto aristocratico alla massificazione dell'uomo industriale. I romantici inizialmente esaltavano la biografia eccezionale, le passioni estreme, ecc come alternativa percorribile rispetto all'omologazione degli stili di vita della città industriale, il problema è che la biografia d'eccezione per ovvie ragioni è prodotto d'élite per élite, che non poteva in alcun modo farsi merce appetibile per il nascente mercato di massa del libro, di fronte a questo dato di fatto mischiato al progressivo diffondersi delle idee egualitarie propugnate dal liberalismo e dal socialismo, gli artisti trovarono un escamotage che ancora oggi regge senza mostrare troppe crepe: l'eccezione non è più patrimonio di biografie particolari (eroi, dissidenti politici, emarginati, ecc) ma è insita nell'intimità di ognuno di noi, basta saper scavare. Per dare una solida base concettuale a questa intuizione, e nel contempo ancorarla ad una tradizione condivisa ed accettabile, i pensatori romantici attinsero a piene mani dalla mistica cristiana, che aveva il doppio pregio di avere un vasto patrimonio letterario già sedimentato, e nel contempo di essere per sua natura al di sopra dei condizionamenti storici, politici e geografici, di modo che l'eternità ed assolutezza dell'io poteva riposare nella più solida e veneranda eternità ed assolutezza di Dio. Questo ebbe come conseguenza immediata la nascita di nuove attributi per giudicare l'opera d'arte: l'autenticità (l'io eterno che si manifesta deve essere puro, immediato, incondizionato), l'originarietà e l'originalità (per essere autentico l'io deve essere individuabile, inconfondibile, atemporale), l'inscindibilità di opera ed autore (in quanto il secondo sostanzia e da' valore alla seconda). Essendo il romanticismo un movimento estremamente variegato e contraddittorio, già i grandi autori del movimento si accorsero di come questa nuova concezione dell'opera d'arte e dell'artista si scontrava con obiezioni e dati di fatto difficilmente confutabili, come ad esempio l'originalità dell'opera aveva come limite il fatto che il linguaggio non è una creazione individuale ma collettiva, è qualcosa di appreso (quindi condizionato) e non assoluto, ma queste contraddizioni non crearono tensioni irreversibili nel movimento.


Ecco, per ora questa è la prima parte, nella seconda tenterò una critica più puntuale ai vari principi evocati di sfuggita nell'ultima parte.



"Il poeta è puro acciaio, duro come una selce" Novalis

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